Maria Grazia, quale è la
molla che ti spinge a dipingere?
Io penso che ci sia un forte
desiderio di osservare ciò che mi circonda e le persone che incontro. Ciò
produce un’ emozione che vorrei fermare.
E allora è qui che esce
fuori il taccuino?
Si. Il carnet, la lastra di
zinco, un cartoncino, ogni supporto è utile per prendere l’appunto, fermare
l’idea. È un po’ come stenografare.
Dopo dipingi il quadro?
L’olio per me è la più
benedetta delle unzioni, è un’ occasione per immergersi nel colore, scivolarci
su, godere dello slalom, e qui, a volte, la scivolata non sa fermarsi al tempo
giusto. (“Fermati ! ”, mi consiglia il mio amico pittore Mario Verolini).
Continuare a scavare è più forte di me, mi è molto difficile dominare
l’accavallarsi delle immagini!
E quali sono i luoghi dove
trovi più ispirazione?
Privilegio luoghi ove ho più
tempo per osservare: riunioni familiari (infatti ho dipinto molte zie...),
salotti, sale di conferenze e anche sale da concerto. Certo, che per
avvicinarsi col pennello alla musica ci vuole un bel coraggio, anche solo per
riprodurre il violino o le canne dell’organo! E allora quando vado al concerto
comincio con l’osservare la gente in sala, mi immedesimo con loro
nell’aspettativa. Le luci vengono accese , e purtroppo troppo presto spente , entrano
gli orchestrali. Alzo gli occhi verso il palco (ho, come sai, un posto in prima
fila...) e guardo le gambe del direttore d’orchestra, i leggii e allora
comincia la musica: la padrona assoluta.
Scarabocchiare al buio è una
gran gioia.
Perché non avevi ancora
fatto una mostra?
Non lo so, forse uno
sbagliato istinto di protezione. Comunque, anche se tardi sono uscita fuori...
(intervista fatta da Francisco de Almeida Dias, dal catalogo)
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