mercoledì 26 giugno 2013

Nella mia immaginazione, una scatola di fantasia, una favola per bambini di Paula Dias

Segnaliamo un libro per bambini
http://psicomamme.it/nella-mia-immaginazione-favola-paula-dias-bambini-3-6-anni/
realizzato sia in Italiano che in portoghese, scritto e meravigliosamente illustrato da Paula Dias
http://psicomamme.it/paula-dias-pittrice-illustrazioni-sogno/




Nella mia immaginazione, una scatola di fantasia è una favola per bambini piccoli veri (dai 3 ai 6 anni) e onorari (dai 7 ai 97 circa), scritta e riccamente illustrata da Paula Dias.
Una scatola magica trascina una bambina in avventurose esperienze in fondo al mare, nello spazio siderale, attraverso i colori e mille trasformazioni. La materia cambia aspetto e funzione. La colla che la tiene insieme, l’energia che la fa vivere è quella del gioco.
Di scatole parlanti, aldilà di quelle tecnologiche, ne hai certamente anche tu, in qualche sgabuzzino. L’incontro può portare molto lontano :)
Nella mia immaginazione, una scatola di fantasia è un viaggio nel caleidoscopio della scoperta. Una scatola può essere una barca, un aeroplano, una macchina, una confortevole casa, una culla per le bambole… Gli usi infiniti che la scatola suggerisce non sono altro che le infinite possibilità della vita, basta saperci giocare :)
L’ebook Nella mia immaginazione, una scatola di fantasia, scritto e splendidamente illustrato da Paula Dias, è disponibile per Kindle, su Amazon, all’indirizzohttp://www.amazon.it/Nella-mia-immaginazione-ebook/dp/B00CH6VB5S/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1366795841&sr=1-1&keywords=nella+mia+immaginazione

Stefano Valente in intervista

Amigo e lusitanista, o nosso caro Stefano Valente foi recentemente entrevistado por "Talento nella Storia", que aqui publicamos com os nossos parabéns e um abraço.


http://www.talentonellastoria.com/talento-nella_storia-valente.htm

Interviste di talento

Lo Specchio di Orfeo, un thriller esoterico denso di suggestioni letterarie e mitologiche...

incontro con lo scrittore Stefano Valente

Articolo a cura di Andrea Rocchi C.


Prefazione

Questo articolo è dedicato a uno degli autori più interessanti che ho avuto il piacere di conoscere negli ultimi anni. Il suo romanzo, protagonista di questo articolo "Lo Specchio di Orfeo" racchiude come uno scrigno questa specialità, sprigionandola pagina dopo pagina fino all'epilogo finale. Un romanzo emozionante ed erudito, ricco di suggestioni e colpi di scena, che si avvale di un incredibile lavoro di documentazione storica. Un'ideale simbiosi di storia, mitologia ed esoterismo con il quale il lettore riesce a confrontarsi, comprendendo a poco a poco i cardini che muovono l'intero complesso. Questo romanzo è anche sperimentazione, di stili e linguaggi innovativi e ricercati; "Lo Specchio di Orfeo" brilla infatti di un lavoro certosino da parte dello scrittore che riesce a dar vita a un modello narrativo unico e originale. "Lo Specchio di Orfeo" sprigiona sapienza e in alcuni passaggi richiede al lettore uno sforzo supplementare nel raccogliere elementi dal proprio background storico-culturale al fine di entrare con cognizione di causa in meccanismi che sembrano esistere e sussistere nella società dall'alba dei tempi. Un romanzo destinato a diventare di culto...

L'autore

Stefano Valente è nato nel 1963 a Roma. Fin da piccolo è immerso in un’atmosfera di cultura viva che ruota principalmente attorno alle personalità del nonno paterno, Anton Pietro, Accademico delle Belle Arti di Roma che lo incoraggia ai primi esercizi di disegno, e del padre Donatello, anch’egli persona poliedrica - architetto, pittore, critico e storico dell’Arte, giornalista - che lo sprona a coltivare la scrittura assecondando, contemporaneamente, l’inclinazione “famigliare” che Stefano ha per il figurativo e la grafica in generale.  Laureato in Glottologia, passa dal giornalismo free-lance a collaborazioni e corrispondenze dall’Italia per conto di testate-stampa e stazioni radiofoniche estere (soprattutto in Canada e Portogallo); sceneggiatore e disegnatore di fumetti, nonché illustratore e traduttore (principalmente dal portoghese e dall’inglese) per alcune case editrici. Dalla metà degli anni ’80 avverte la necessità di canalizzare il flusso creativo senza dispersioni e la la scrittura diviene mezzo privilegiato. Nel 2004 ha pubblicato il romanzo Del Morbo - Una cronaca del 1770, edito da Serarcangeli. Nel 2008 è uscito il suo romanzo Lo Specchio di Orfeo, pubblicato da Liberamente (Barbera Editori) e tradotto anche in Portogallo (da Ésquilo Edições). Vincitore dei premi letterari «Mondolibro» nel 1998 e nel 1999. Ha curato laboratori di scrittura creativa ed editing testuale per alcune associazioni culturali e agenzie letterarie, fra le quali Il Segnalibro. È stato ospitato con alcune novelle e composizioni poetiche su varie riviste italiane ed estere, letterarie e non. Interessato alla micronarrativa, fiorente soprattutto nei paesi di lingua spagnola e portoghese, cura da anni, come traduttore e non solo, il blog Il Sogno del Minotauro divenuto oramai un riferimento per la microficción internazionale.


L'intervista

01. Stefano tu sei una delle personalità più brillanti ed eclettiche che ho avuto l’onore di conoscere grazie al “Talento nella Storia”. La tua passione per la cultura si riflette in numerosi campi e sfaccettature che ho ritrovato in parte anche nel romanzo protagonista di questo articolo, ovvero “Lo Specchio di Orfeo”. Mi piacerebbe approfondire in apertura di intervista quel che riguarda specificatamente il tuo iter culturale riguardo la Storia e riguardo i tuoi interessi linguistici e glottologici che alla Storia sono ovviamente legati. Come ti sei avvicinato alla nostra amata Storia e quali sono stati gli input che ti hanno spinto a occuparti di romanzi storici?

Ti ringrazio, Andrea, per le belle parole con cui mi descrivi, ma che non credo di meritare. La tua domanda me ne fa venire in mente un’altra: è possibile una letteratura senza cultura?... Io credo proprio di no. Per cultura, naturalmente, non intendo solo i libri e il “sapere libresco”, ma tutti i diversi aspetti che sottendono alle società umane, primo fra tutti il linguaggio. Come glottologo, cioè studioso delle lingue (in senso storico – diacronico – e non solo), ad esempio non smette di entusiasmarmi quanto la struttura della nostra lingua madre condizioni anche i nostri processi mentali. Il nostro pensiero si articola in parole e frasi che necessariamente obbediscono alle strutture della/e lingua/e con cui comunichiamo abitualmente. Siamo convinti che il tessuto della realtà sia uno e uno solo per tutti gli esseri umani; di fatto, non è così. Prendiamo i colori: mentre noi sappiamo bene a quale colore ci riferiamo parlando del cielo, in greco antico non esisteva un termine per ‘azzurro’, e in gallese glas riunisce tutta la gamma dei verdi e dei blu. Più o meno lo stesso accade con la parola giapponese ao, che vale sia per azzurro che per verde, al punto che, in Giappone, la luce verde dei semafori è decisamente tendente al blu. La lingua, in definitiva, finisce per “plasmare” il modo nel quale vediamo il mondo. Ma vengo alla Storia – o alle Storie… Io trovo che la stessa “molteplicità dei mondi” che emerge dallo studio delle lingue sia evidente nel racconto degli eventi significativi che fonda una società umana. Questa narrazione è una definizione possibile di Storia. Basta però riflettere un attimo ed è subito chiaro che non esiste una Storia unica, valida per tutti. Uno stesso fatto è tramandato da differenti autori – e popoli – in modi anche radicalmente diversi. Personalmente, sono stato sempre affascinato dalla “Storia dei vinti”, dalla versione di coloro che, spesso per ragioni politiche, la Storia – quella con la s maiuscola – l’hanno subìta, più che interpretarla. Le loro storie minuscole hanno e, credo, devono avere, la medesima dignità universale che si riconosce alla “Storia ufficiale”. Immagino sia per questo motivo che le mie storie sono profondamente impregnate di… Storia. È un gioco di parole per nulla involontario. Perché, come si vede bene nella coppia inglese History/story (o nella meno nota História/estórias del portoghese, la mia seconda lingua), la storia senza maiuscola è anche il racconto di fatti immaginari, può essere il resoconto di cronisti fittizi, la raccolta di testimonianze inventate. O di libri e manoscritti che (Borges docet) non esistono, ma potrebbero esistere… Ecco: la verosimiglianza è un aspetto imprescindibile della struttura narrativa, e forse ancor più per la cosiddetta narrativa d’immaginazione. È un aspetto “etico” della scrittura che si offre al lettore: l’autore deve comporre un tessuto narrativo documentato, plausibile nel senso di una seria ricostruzione storica. Altrimenti si finisce per ingrossare il filone oceanico dei romanzi “infarinati” di date, condottieri, grandi genî del passato o, peggio, di Templari e di codici. Ce n’è davvero bisogno?... È una mancanza di rispetto: nei confronti dell’intelligenza di chi legge e nei confronti della stessa Storia…

02. “Lo Specchio di Orfeo” è un romanzo magnifico nei suoi aspetti culturali e innovativi. Leggerlo è un’esperienza non comune, sia per la struttura con cui si articola che per le tematiche trattate. Come è nata nella tua testa questa opera e quale è stato il suo iter formativo? E una volta portato a termine cosa ti è rimasto dentro di questa esperienza?

È stata una grande sfida. Ma in fondo ogni scrittura lo è. Il primo nucleo narrativo è stata l’idea di riscrivere il mito di Orfeo. Mi è sempre piaciuto quest’aspetto dei miti (che sono «storie trasmesse con varianti», come dice Roberto Calasso), della classicità greco-romana e non solo: quel germe interno che fa sì che essi proliferino e si moltiplichino in nuove versioni che aggiungono nuovi punti di vista, nuove rivelazioni. È venuto fuori il testo di un manoscritto medievale e, da lì, è “apparso” il filologo che l’aveva scoperto, e poi la sua strana morte – e l’indagine dell’altro filologo suo allievo per far luce sulla misteriosa fine del suo insegnante. Un’indagine che porterà protagonista e lettore molto lontano, nello spazio e nel tempo: dal Portogallo del ’500 alla Terrasanta delle Crociate, dai giochi di potere delle multinazionali contemporanee alla Praga degli alchimisti, dei cabalisti e di Rodolfo II… Riguardo al lavoro di scrittura vero e proprio, Lo Specchio di Orfeo ha richiesto più fasi, sia di “costruzione” sia di editing. Io amo la narrativa che gioca con strutture “altre”, che in qualche modo faccia avanzare il lettore nella storia con gli stessi dubbi e le stesse rivelazioni dei protagonisti. Questo romanzo è stato pensato come una raccolta di documenti: ciò che rimane di un manoscritto, parti del saggio filologico che lo analizzano, appunti personali dei personaggi, brani di lettere, e-mail, articoli di giornale ecc. Va da sé che la giustapposizione dei testi – e prim’ancora la differenziazione delle varie “voci” – è stata tutt’altro che semplice. Se qualcosa mi è rimasto dentro di quest’esperienza, forse è soprattutto l’umiltà del “lavoro” della scrittura: un cammino costante, difficile, pieno di ripensamenti, che esige dedizione assoluta e che non dà mai nulla per scontato… Un cammino che nasce innanzitutto dalle molte (e attente letture). Lo dico polemicamente, vivendo in una nazione in cui sono moltissimi a scrivere ma pochissimi a leggere…

03. “Lo Specchio di Orfeo” brilla per l’elaborata base storico-culturale di cui è dotato. Quali sono state le tue ricerche in merito, le fonti consultate e quali le difficoltà oggettive nel portare avanti un romanzo di tale complessità? Hai mai avuto il timore che un lettore non particolarmente ferrato sugli argomenti affrontati, potesse perdersi nei meandri della tua opera?

Per Lo Specchio di Orfeo è stato necessario uno studio lungo e complesso, ma non poteva essere altrimenti. Questo, associato alla particolare struttura narrativa, ha significato una serie ininterrotta di battute d’arresto e ripartenze, di ripensamenti e revisioni. Mi accorgo solo ora che quella pubblicata è la quinta versione del romanzo… La ricerca bibliografica è passata per testi a volte introvabili, mi ha fatto scoprire opere dalle teorie affascinanti: vorrei citare, per tutte, Atena Nera di Martin Bernal (Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997), e il fondamentale lavoro di Charles Segal, Orpheus: the Myth of the Poet (Johns Hopkins University Press, Baltimore and London 19932). Quanto all’ultima parte della domanda, ritorno al concetto di rispetto nei confronti del lettore. Chi legge ha il sacrosanto diritto di scegliere se andare avanti o chiudere il libro per sempre. Ma, ancor prima, lo scrittore ha l’obbligo di rendere fruibile la sua opera, anche per chi sia totalmente digiuno riguardo alle tematiche trattate. Nel concreto, si tratta di far “funzionare” un romanzo su più livelli. Se, ad esempio, il plot è ben costruito e i personaggi sono convincenti, allora anche il lettore “superficiale” rimarrà avvinto dalla narrazione. E proseguirà fino in fondo. E qualcosa resterà nella sua mente e nella sua memoria, persino di argomenti che non avrebbe mai immaginato di affrontare. La scrittura, per me, ha senso se riesce a stimolare la curiosità e l’interesse in chi legge. Se dalle pagine qualcosa “sopravvive” dentro le coscienze. Il mito di Orfeo, per esempio. Qualche tempo fa ho ricevuto una mail che mi ha fatto molto piacere: «Non sapevo neanche chi fosse, Orfeo, e adesso invece ho scoperto un sacco di cose…».

04. Gli aspetti esoterici costituiscono uno dei fattori del romanzo in questione, una chiave d’interpretazione del reale. Tali aspetti vengono affrontati con competenza e talento, rifuggendo da banalità e superficialità che troppo spesso potrebbero entrare in gioco. Vogliamo approfondire cosa rappresenta per te questa ricerca interpretativa e soprattutto qual è l’alchimia per rifuggire dai luoghi comuni e dall’esoterismo inteso come una delle tante “mode” del millennio?

«Ciò ch’è in basso è come ciò ch’è in alto, e ciò ch’è in alto è come ciò ch’è in basso, per fare i miracoli della cosa una», recita forse il più noto dei testi sapienziali, la Tabula Smaragdina. Ne Lo Specchio di Orfeo ho tentato soprattutto di mettere in luce l’insegnamento “analogico” della tradizione esoterica e, ovviamente, del mito. Non mi interessava e non mi interessa l’“esoterismo di cassetta” che, con titoli nuovi ogni settimana, affolla gli scaffali promettendo colpi di scena a base di cavalieri Templari e codici. Non c’è nulla del genere ne Lo Specchio di Orfeo. L’ultimo segreto, la pietra filosofale – chiamiamola come vogliamo –, è per l’appunto una differente interpretazione della realtà. La conoscenza esoterica, il dettato occulto del mito (e del rito che perpetua il mito), non è altro che il disvelamento dei grandi misteri dell’esistenza attraverso simboli e narrazioni ancestrali, icone e storie che vengono moltiplicate (riflesse, si potrebbe dire, giocando ancora con gli specchi) nel minuscolo quotidiano dell’uomo. In definitiva: l’ansia del vero alchimista non era cercare il segreto della trasmutazione del metallo vile in oro, ma la comprensione dell’universo. Macrocosmo e microcosmo sono strettamente connessi in una fitta rete di analogie ed equivalenze. Se ogni libro è in se stesso una composizione, un’alchimia, quella de Lo Specchio di Orfeo (peraltro suddiviso in quattro parti, corrispondenti alle quattro fasi dell’opus alchemicum) tenta di mostrare i diversi livelli della realtà, ma anche – e soprattutto – che una piccola, insignificante vita umana, ha il valore sacro di un intero mondo…

05. Tu provieni da una famiglia di persone fortemente impegnate nell’arte e nella cultura. Tuo padre, ancor prima tuo nonno, persone di spicco nel panorama artistico e letterario e personalità che ti hanno sicuramente tramandato la poliedricità culturale. Dalla tua biografia ho letto delle tue tantissime passioni. Come e perché sei arrivato a canalizzare il “flusso creativo” nella scrittura, eleggendola a espressione artistica privilegiata? E soprattutto, il tuo modo di intendere la scrittura non è fine a se stesso ma è inteso anche in questo caso come una ricerca… ricerca di linguaggi e strutture narrative innovative…

La scrittura… Per me è un cammino arduo, come ti ho già detto, che non si presta a improvvisazioni. Forse è la disciplina insita nel “lavoro” della scrittura: è questo l’aspetto che più mi aiuta a canalizzare una spinta creativa che, altrimenti, si disperderebbe scompostamente. E, sì, per me scrivere è sinonimo di ricercare: strutture narrative e linguaggi “altri”. Innovare e sperimentare, in un certo senso, tenendo però sempre in mente la fruibilità della narrazione – perché non si scrive per se stessi ma per gli altri. La struttura de Lo Specchio di Orfeo, ad esempio, gioca molto sui differenti registri linguistici (il documento epistolare, il saggio, l’e-mail, il manoscritto…), ma anche sulla pluralità di voci dei protagonisti. Trovo affascinante anche il racconto che si muove tra più piani spaziotemporali. Di fatto non pongo limiti all’impianto strutturale della mia scrittura, purché sia rispettata la coerenza generale, s’intende. Quanto ai linguaggi e alla ricerca linguistica, avrei molto da dire. Nello specifico, negli ultimi anni ho lavorato molto all’inseguimento dell’oralità – che, ovviamente, per funzionare in senso “letterario”, non può limitarsi alla mera e fedele riproduzione del parlato…

06. Stefano, c’è un altro argomento che vorrei approfondire e capire se in qualche modo è legato a quanto ci siamo detti finora… la passione per il Portogallo e la cultura lusitana, considerando inoltre che molte tue opere hanno mercato proprio in Spagna e Portogallo…

Quello cCosa posso dirti? Da tempo – mi sembra da sempre – ho scelto il Portogallo e il portoghese come mio paese e lingua “dell’anima”. Ed è vero: ad esempio Lo Specchio di Orfeo si svolge in Portogallo, ed è stato tradotto e pubblicato anche in portoghese… Da ragazzo, sempre appassionato di lingue, mi avvicinai ai primi testi in portoghese: erano le poesie dei grandi del ’900, primo fra tutti Fernando Pessoa. Rimasi folgorato. Mi conquistò subito il punto di vista così diverso, lo sguardo inquieto e distante che quei poeti gettavano verso l’orizzonte, da quell’estremità d’Europa (poi ho scoperto) così poco europea, proiettata sull’oceano e sui sogni di imperi trascorsi. Studiare la lingua e la cultura lusitana – che non è solo Portogallo, ma anche Brasile, Africa, Asia – è stato il passo successivo. È più d’una passione. La melancolia, quell’assenza-presenza che spinge a vedere insieme il vero e il suo rovescio, sono tratti peculiari della “lusitanità” tanto quanto della mia natura… Forse la grande lezione della letteratura lusitana sta proprio in questa che io chiamerei coscienza dello straniamento. È la stessa pulsione per la quale Pessoa è stato uno e molti (tutti i suoi eteronimi). E mi riallaccio a quanto detto prima, all’equazione linguaggio = visione del mondo. A volte mi sorprendo a pensare in portoghese. O persino a immaginare e poi scrivere un racconto. E se poi lo traduco in italiano mi appare irrimediabilmente carente, imperfetto…

07. Abbiamo parlato principalmente de “Lo Specchio di Orfeo” ma io sarei interessato a conoscere qualche curiosità riguardo l’altro tuo grande romanzo storico “Del Morbo – Una cronaca del 1770”, uscito per di più in nuova edizione.

Del Morbo è un’altra storia con la s minuscola – un altro racconto narrato dagli ultimi, dagli sconfitti. La scena è Lille Havn (‘piccolo porto’), una cittadina costiera in un minuscolo regno del Nord, da qualche parte fra Prussia e Danimarca. L’anno è il 1770. Nel contrasto fra la nitida Raison illuministica che sta investendo l’Europa, e il fanatismo religioso di quella buia periferia settentrionale, non si distingue una verità indubitabile e assoluta. È uno strano inverno: ogni cosa appare estranea, remota, mentre avanza la morsa di ghiaccio che si accompagna alle nebbie della baia. All’improvviso, indistinto e irraggiungibile, il profilo inclinato di un veliero all’àncora in alto mare, immobile sul filo dell’orizzonte. La sua comparsa coincide con l’erompere spaventoso e senza spiegazione di un’epidemia che farà piombare la malattia e la morte su Lille Havn…
Anche in Del Morbo ho cercato una struttura e una lingua non consuete. La narrazione della medesima vicenda resa da più voci dà vita a più prospettive come in un gioco di specchi che riflette il racconto di rovine e trionfi, che moltiplica le gesta di piccole e grandi figure umane. Un anonimo cronista del tempo ricostruisce e confronta i fatti – o le allucinazioni, o i miracoli –, con rigore settecentesco. Un rigore filtrato da un linguaggio che ricalca – ma in realtà reinventa – la frase e il vocabolario del XVIII secolo. Una lingua reinventata, seppure con scrupolo filologico: funzionale, in chiave letteraria, a esprimere tutto il terribile e il meraviglioso di un’avventura ai limiti del mondo che è anche una disperata ricerca di Dio, o della sua assenza. D’altra parte forse non è un caso che tutto sia nato da una visione, da un sogno a occhi aperti, che ha poi originato il finale del libro...
Sono molto legato a Del Morbo – Una cronaca del 1770. Anche se, in generale, non credo ai premi letterari, sono fiero che questo romanzo ne abbia vinti. Non appena i diritti del libro sono tornati in mio possesso ho curato una nuova edizione (in libro, in ebook e in formato kindle).

08. A cosa stai lavorando e quali sono i tuoi progetti letterari futuri? E vorrei chiudere sulla tua esperienza con il mondo editoriale… è davvero così difficile divulgare il proprio talento letterario?

A parte il sito Il Sogno del Minotauro, in cui curo soprattutto la traduzione e la diffusione del racconto breve e brevissimo (che da noi, al contrario soprattutto dei paesi di lingua spagnola, non ha tradizione), ho appena terminato un “romanzo orientale” con mie illustrazioni, ambientato nell’epoca delle Scoperte – un lavoro che mi ha impegnato a lungo, anche dal punto di vista grafico. È l’ennesimo “gioco” che faccio con la Storia, non perdo il vizio… Progetti? Vorrei dedicarmi alla promozione di alcuni miei inediti, in particolare alla quadrilogia che ho intitolato Il Ciclo del Motore E. (dal suo primo romanzo: Il Motore E.). Si tratta di quattro distopie del futuro – quattro visioni del mondo a venire contrassegnate da una narrazione sempre alla ricerca dell’oralità. Ma anche quattro storie accomunate dal tema dell’amore: disperato, crudele, tenero, impossibile... Ogni romanzo ha vita autonoma: pur inserito nel contesto del ciclo, ciascun libro è indipendente e si situa in un tempo e in una fase a sé stanti dell’Era del Motore E. Tengo molto a questa quadrilogia sia perché sviluppa strutture e linguaggi narrativi divergenti, sia perché approfondisce un tema che ritengo attualissimo: il pericolo dell’omologazione che schiaccia e assimila tutto e tutti, sacrificando senza alcuno scrupolo le esistenze che “non si conformano”. Difficile dare una collocazione di genere al Ciclo del Motore E.: potrebbe rientrare nella Social Science Fiction ma è sicuramente una distopia; forse è assimilabile a libri (lo dico con tutta l’umiltà possibile) come Mattatoio n. 5 di Vonnegut. Di fatto la fantascienza mi attrae solo se sostenuta da un plot impeccabile – penso a Dick – e quando cela in sé un “insegnamento” che sia valido per la realtà contemporanea (perché il futuro forse non è altro che un passato raccontato dentro un sogno – o dentro un incubo, chissà...). Che altro dire? In attesa che qualche editore italiano si incuriosisca, io seguito la difficile vita della scrittura. Mi conforta il sostegno di professionisti seri del settore, purtroppo non italiani. I diritti de Lo Specchio di Orfeo e di altri miei due inediti sono rappresentati da Juliane Roderer e dalla sua Literaturagentur di Monaco. Nel contempo, l’agenzia spagnola “Página Tres” di Barcellona cura i diritti e le traduzioni di altre mie opere.

- Per acquistare "Lo Specchio di Orfeo" - Feltrinelli - Hoepli - Libreria Universitaria - Unilibro -


Per approfondire

- Il sito ufficiale di Stefano Valente - www.stefanovalente.com

- Res Lusitaniae il sito di S. Valente che si occupa di lusitanistica - http://reslusitaniae.blogspot.it

- Res Lusitanae altri sito di S. Valente che si occupa di lusitanistica - link

- Il Sogno del Minotauro, microficciòn e narrativa breve  - http://sognodelminotauro.blogspot.com



mercoledì 19 giugno 2013

FRONTIERE - RAPPRESENTAZIONI, INTEGRAZIONI E CONFLITTI TRA EUROPA E AMERICA SECOLI XVI-XX

Convegno internazionale che si terrà presso la 
Sala del Consiglio del Dipartimento di Studi Umanistici 
dell'Università di Roma Tre 
dal 20 al 22 giugno 2013

con la partecipazione del CHAM-Universidade Nova Lisboa

frontiereroma2013.wordpress.com


Via Ostiense, 234 - 00146 Roma
http://dipartimenti.uniroma3.it/studiumanistici/

Il tema della frontiera si sta imponendo sul panorama storiografico. Ad esso si
accompagna quello della migrazione, della permeabilità dei borders e delle conseguenti
politiche volte a regolarne le circolazioni, sia in termini di integrazione
che di conflitti sociali.
Benché già a metà del secolo scorso Braudel (1963) avesse dimostrato come storicamente
non siano esistite delimitazioni rigide fra realtà politiche e culturali ma
piuttosto delle aree di permeabilità e di circolazione (Lorey, 1999), sino ad oggi la
storiografia ha preferito utilizzare un paradigma di analisi fissato dalla storiografia
ottocentesca (Turner, 1893; Ratzel, 1923), centrato sulla prospettiva degli
Stati-nazione, interessati alla definizione e alla difesa delle proprie frontiere
come limite degli spazi di esercizio della propria sovranità e identità in termini
di fisionomia statuale, di controllo e potere di governo, di rapporto univoco tra
territorio, popolazione e cultura nazionale. Grazie all’analisi interdisciplinare
dei fenomeni complessi che caratterizzano il mondo globalizzato odierno, è
urgente individuare nuovi criteri e nuove metodologie d’indagine per cercare di
fissare i principi che legittimano l’esercizio dell’autorità in questi spazi di sovranità
fluida e incerta, dove nell’interazione tra processi opposti d’integrazione e
di conflitto vanno costruendosi nuove identità meticcie.
Oggi la coincidenza o “co-appartenenza” tra Stato e territorio è da più versanti
messa in discussione (Mezzadra, 2006) mentre si procede a delineare una pluralità
di linee di discontinuità (economiche, etniche, linguistiche, etc.) all’interno
degli stessi soggetti politici statuali (Gamio, 1971; Merluzzi, 2010).
Il congresso si propone uno studio selettivo di tematiche legate alle dinamiche
politiche e sociali in aree di grande trasformazione europee ed extraeuropee. Si
porrà l’attenzione all’integrazione e ai conflitti sociali, attraverso l’analisi di una
pluralità di linguaggi, da quelli teorici e politici a quelli artistici (immagini fotografiche,
pittoriche) nella prospettiva di suscitare un ampliamento e un approfondimento
delle conoscenze e delle metodologie d’analisi e di ridefinizione del
paradigma storiografico di frontiera.

martedì 18 giugno 2013

Delegittimazioni - giornata di studi a Roma Tre

Università degli Studi Roma Tre

Dipartimento di Lingue Letterature e Culture Straniere
Dipartimento di Scienze Politiche
Dipartimento di Studi Umanistici

Delegittimazioni
Giornata di Studi
organizzata nell’ambito del progetto di
internazionalizzazione della ricerca
“Identità, Potere, Rappresentazioni”
12 Giugno 2013
ore 9.30

Dipartimento di Scienze Politiche
Sala del Consiglio, IV piano
via Gabriello Chiabrera, 199

Comitato organizzatore
Alberto Basciani,
Paolo Broggio,
Giorgio de Marchis,
Luigi Magno,
Simone Trecca

Realizzazione tecnica
Davide Bevilacqua,
Marco Pagliai,
Roberto Parlavecchio,
Claudio Mosticone

9:30
Saluti
Francesco Guida, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche
Renato Moro, Direttore della Scuola dottorale in
Scienze Politiche

10:00
Presentazione del primo numero della rivista Krypton a cura di Emanuele Conte (Responsabile del progetto Roma TrE-Press) e Giorgio de Marchis (Direttore di Krypton)

10:30
Mario Turchetti (Université de Fribourg), Delegittimazioni regie nel ‘500 e nel ‘600 con l’epilogo tragico di due tirannicidi: Enrico III di Valois, re di Francia, e Carlo I Stuart, re di Gran Bretagna. Riflessioni su una categoria storiografica
introduce Luigi Magno (Università Roma Tre)
11:20
Carmen Burcea (Universitatea din Bucureşti), La delegittimazione nel discorso totalitario della letteratura romena sotto il regime comunista. A case study: “Il cancro” di Al. Ivasiuc
discussant Alberto Basciani (Università Roma Tre)
12:10
José Antonio Pérez Bowie (Universidad de Salamanca), Reescritura cinematográfica del pasado y deslegitimación del discurso dominante. Dos adaptaciones de Valle-Inclán en el cine del franquismo
discussant Simone Trecca (Università Roma Tre)

13:00
Pausa pranzo

15:00
Anne Marijnen (Université de La Rochelle), Faire place net: pratiques et discours de délégitimation chez Beppe Grillo
discussant Isabella Poggi (Università Roma Tre)

15:50
Patricia Peterle (Universidade Federal de Santa Catarina), Potenza e sopravvivenza: Bartleby e Baratto
discussant Franco D’Intino (Sapienza Università di Roma)

17:00
Pausa caffè

17:20
Santiago Fernández Mosquera (Universidade de Santiago de Compostela), Quevedo: el deslegitimador deslegitimado. El ejemplo de “Execración contra los judíos”
discussant Fausta Antonucci (Università Roma Tre)

18:10
Julián Lozano Navarro (Universidad de Granada), Deslegitimación política y defensa del honor. Juan Everardo Nithard entre Madrid y Roma, 1665-1681
discussant Paolo Broggio (Università Roma Tre)

Conferência Internacional sobre o Futuro da Língua Portuguesa

II Conferência Internacional sobre o Futuro da Língua Portuguesa no Sistema Mundial
Língua Portuguesa Global – Internacionalização, Ciência e Inovação”

29 e 30 de outubro de 2013
Reitoria da Universidade de Lisboa e Faculdade de Letras de Lisboa

 II Conferência Internacional sobre o Futuro da Língua Portuguesa no Sistema Mundial será dedicada ao tema “Língua Portuguesa Global – Internacionalização, Ciência e Inovação”.
Decorrerá na Reitoria da Universidade de Lisboa e na Faculdade de Letras daquela Universidade, nos dias 29 e 30 de outubro de 2013, numa organização conjunta do Ministério dos Negócios Estrangeiros – através do Camões, Instituto da Cooperação e da Língua – e de um consórcio de quatro faculdades portuguesas dotadas de centros de investigação em Linguística (as Faculdades de Letras de Lisboa, Coimbra e Porto e a Faculdade de Ciências Sociais e Humanas da Universidade Nova de Lisboa), para o efeito representadas na Comissão Organizadora.
Pretende-se, nesta II Conferência, além de desenvolver a reflexão iniciada em 2010, fazer o ponto de situação relativamente à implementação do Plano de Ação de Brasília, bem como propor ações atinentes à promoção do papel da língua portuguesa na produção e divulgação do conhecimento e da inovação em todo o mundo.
A Comissão Organizadora abre espaço à submissão de propostas de resumo de comunicação, em língua portuguesa, que não excedam os 1500 carateres (incluindo espaços), explicitamente enquadradas em uma das cinco áreas temáticas abaixo indicadas:
A Conferência contará com a presença de eminentes pensadores e oradores sobre as questões que aproximam as ideias da Língua Portuguesa daquelas que se prendem à inovação, ao desenvolvimento, à difusão e à aplicação do conhecimento; terá ainda a participação alargada da sociedade civil, através de eventos paralelos, de natureza política, cultural, económica ou mediática, emanados de várias organizações, associações e Ordens profissionais.

martedì 11 giugno 2013

Caterina Cucchi porta Saramago all'Istituto Portoghese



Il romanzo dell'inesistente nella città dell'esistenza
Lisbona, José Saramago “L'anno della morte di Ricardo Reis”
Lisbona non è solo una città. E' un luogo dell'esistenza. Un posto dove la vita scorre tra il mare ed il fiume e dove gli uomini e le donne respirano il cielo, la brezza e la poesia.
Città multiculturale, Lisbona è stata ispiratrice di poeti, di narratori, di pittori. Tra le viuzze dell'Alfama, tra le curve strette che nascondono sorprese ad ogni viandante, si celano storie e vite vissute. Si celano dolori, malinconie e sogni.


Il Rettore dell’Istituto Portoghese di Sant'Antonio in Roma,
Mons. Agostinho da Costa Borges,

sotto l’alto patrocinio
di S. E. l’Ambasciatore del Portogallo presso la Santa Sede
Dott. António de Almeida Ribeiro

ha il piacere di invitare la S. V.
all’inaugurazione della mostra

Il romanzo dell'inesistente nella città dell'esistenza
Lisbona, José Saramago “L'anno della morte di Ricardo Reis”

di Caterina Cucchi


che avrà luogo mercoledì 19 Giugno 2013, alle ore 18.30
Istituto Portoghese di Sant'Antonio in Roma
Via dei Portoghesi, 6.


La mostra rimarrà aperta sino al 7 Luglio 2013
dal mercoledì alla domenica, dalle 17.00 alle 20.00.



Il romanzo dell'inesistente nella città dell'esistenza
Lisbona, José Saramago “L'anno della morte di Ricardo Reis”

Lisbona non è solo una città. E' un luogo dell'esistenza. Un posto dove la vita scorre tra il mare ed il fiume e dove gli uomini e le donne respirano il cielo, la brezza e la poesia.
Città multiculturale, Lisbona è stata ispiratrice di poeti, di narratori, di pittori. Tra le viuzze dell'Alfama, tra le curve strette che nascondono sorprese ad ogni viandante, si celano storie e vite vissute. Si celano dolori, malinconie e sogni.

Caterina Cucchi ha voluto impregnarsi dei muri lacerati di Lisbona, di più, della sua eterna lacerazione esistenziale. Perchè Pessoa, Saramago piuttosto che l'italiano Tabucchi, hanno eletto la città portoghese a centro delle loro contrastate riflessioni culturali. Il sole che spesso la bacia, i riflessi argentati del suo mare e del suo immenso fiume non riescono a nascondere il tormento di cui vive Lisbona. Che è il tormento di chi vive non cessando mai di interrogarsi. Di interrogarsi sulla vita, la morte, l'amore e il dolore. Per questo il viandante che l'attaversi, sente in questa città ai confini dell'oceano infinito, il senso dei limiti. I limiti dell'uomo che non voglia percorrere la vita senza interrogarsi. Tra le note del fado, tra i rumori di un traffico da metropoli moderna, tra lo sferragliare dei tram che si inerpicano per salite improbabili, tra le grigliate di pesce improvvisate sui marciapiedi delle strette vie, tra i garofani che si affacciano ai balconi, emerge il senso di un'adesione alla vita che è anche dubbio, domanda. Una domanda simile a quella che ci poniamo, ad esempio, scorgendo tra le acque del mare che bagna la città, il volto di una donna che Caterina Cucchi ci consegna, enigmatica, irrisolta, inquietante. Come è la nostra esistenza.

                                                                                                  Riccardo cucchi


“...L'anno della morte di Ricardo Reis è tutto un luogo' di inesistenze: non esiste "The God of the Labyrinth", non esiste Ricardo Reis, e neppure Fernando Pessoa esiste più, al momento della narrazione...” José Saramago

“Qui il mare finisce e la terra comincia. Piove sulla città pallida, le acque del fiume scorrono limacciose di fango, la piena raggiunge gli argini. Una nave scura risale il flusso tetro, è la Highland Brigade che va ad attraccare al molo di Alcantara...”

Capodanno del 1935. Da un Piroscafo, partito da Rio De Janeiro, sbarca a Lisbona Ricardo Reis, uno degli eteronimi di Fernando Pessoa, identità che, inizialmente inventate, divengono autentiche attraverso la loro personale attività artistica, diversa e distinta da quella dell'autore originale.
L'eteronimo Ricardo Reis è descritto come un medico che si autodefinisce latinista e monarchico. Secondo Pessoa, Reis si trasferì in Brasile come protesta per la proclamazione della Repubblica in Portogallo, e non si conosce l'anno della sua morte.
Da qui parte José Saramago, continuando l'universo di questo eteronimo e immaginando che Reis torni a Lisbona dopo la morte di Pessoa stabilendo un dialogo con il fantasma del poeta.
Reis vive una vera vita sociale, sessuale e affettiva ed è e ci fa essere testimoni di eventi tragici come la dittatura salazarista, la guerra d'Etiopia e la guerra civile spagnola.

Nei miei quadri Ricardo Reis non ha un volto e il suo corpo si confonde con le architetture della città. A volte la figura di Fernando Pessoa si intravede attraverso i vetri di una finestra o all'interno di un particolare dell'abito di Reis. Tutto si svolge come in un sogno in cui la realtà e la finzione si mescolano e ci portano in una atmosfera inconsistente, dove tutto può accadere.
E a Lisbona tutto può succedere.
La prima volta che ho visitato questa città incredibile era il 2007, da allora ogni anno torno senza mai stancarmi ed è sempre un'esperienza bellissima. Dipingerla è stato per me come esserci, per imprimere dentro di me i suoi vicoli, la sua musica, i suoi profumi e il suo fiume che si confonde con il mare. Ma sopratutto la sua atmosfera magica e coinvolgente, diversa da qualsiai altra città europea. Ha significato per me sentirne meno la mancanza.
I particolari di una fermata dell'autobus, di un elettrico, dell'uomo delle monete alla Feira de ladra, La Rua Do Carmo, vista dall'alto di Santa Justa, una panoramica della città con figure femminili che svolazzano sopra i tetti, ad indicare le caratteristiche essenzialmente femminili di Lisbona, accompagnano lo spettatore dentro alla città, fino all'ultima sala dove ci attende Ricardo Reis, pronto a raccontarci la sua “inesistente” realtà.

“...Un uomo brizzolato, rinsecchito, firma gli ultimi fogli, ne riceve le copie, se ne può andare, uscire, continuare in terraferma la sua vita...” 

                                                                                                                   Caterina Cucchi




Nata  a Roma, Caterina Cucchi si diploma presso il Primo Liceo artistico Statale. In seguito si specializza nelle tecniche dell’illustrazione e della comunicazione grafica, sviluppando la sua particolare sensibilità verso il disegno, la caratterizzazione e l’animazione.
Nella sua attività di illustratrice collabora con diverse case editrici tra cui la Mondadori Scuola, per la quale illustra copertine e racconti pubblicati nelle collane “Le Onde” e “Pane e Cioccolata”.
Fra le altre partecipa nel 2009 ad una mostra collettiva nell’ambito della manifestazione “L’arte che gira in tondo” organizzata  da Deco Art - Arte in Quartiere.
Nel 2010 la mostra “Colore”, dedicata al popolo Rom,  viene presentata, in occasione dell’8 marzo, dalla Provincia di Roma a “Palazzo Valentini” e, ad ottobre dello stesso anno, dal Municipio Roma XI a “Caffè Letterario”, in Via Ostiense.
Nel gennaio del 2011 viene esposta alla Biblioteca Borghesiana,  nel corso dell’evento “In memoria del popolo Rom”.


La Mangani di nuovo a Lisbona - concerto, 14 giugno


Depois do êxito do ano passado, 
 Isabella Mangani
 e Stefano Donegà (voz e guitarra) 
voltarão a tocar em Lisboa, proporcionando o novo recital "Terra e sal(e)"

Terra: origem, raiz, solo, lugar que se sente como próprio.
Sal: sabor, gosto, mar, espelho imenso e profundo da nossa alma.
No nosso novo recital jogamos com estes dois termos e mundos, em que só um “e” faz a diferença entre italiano e português.
Tocaremos e cantaremos músicas e canções italianas, desde o século XV até hoje, eruditas e de tradição oral, cantadas em italiano e em vários dialectos do sul da Itália.


Livraria Fabula Urbis 
Rua de Augusto Rosa, 27
*Entrada Livre*