http://www.talentonellastoria.com/talento-nella_storia-valente.htm
Interviste di talento
Lo Specchio di Orfeo, un
thriller esoterico denso di suggestioni letterarie e mitologiche...
incontro con lo scrittore
Stefano Valente
Articolo a cura di Andrea Rocchi C.
Prefazione
Questo articolo è dedicato a uno degli autori più interessanti che ho avuto
il piacere di conoscere negli ultimi anni. Il suo romanzo, protagonista di
questo articolo "Lo Specchio di Orfeo" racchiude come uno scrigno
questa specialità, sprigionandola pagina dopo pagina fino all'epilogo finale.
Un romanzo emozionante ed erudito, ricco di suggestioni e colpi di scena, che
si avvale di un incredibile lavoro di documentazione storica. Un'ideale
simbiosi di storia, mitologia ed esoterismo con il quale il lettore riesce a
confrontarsi, comprendendo a poco a poco i cardini che muovono l'intero
complesso. Questo romanzo è anche sperimentazione, di stili e linguaggi
innovativi e ricercati; "Lo Specchio di Orfeo" brilla infatti di un
lavoro certosino da parte dello scrittore che riesce a dar vita a un modello
narrativo unico e originale. "Lo Specchio di Orfeo" sprigiona
sapienza e in alcuni passaggi richiede al lettore uno sforzo supplementare nel
raccogliere elementi dal proprio background storico-culturale al fine di
entrare con cognizione di causa in meccanismi che sembrano esistere e
sussistere nella società dall'alba dei tempi. Un romanzo destinato a diventare
di culto...
L'autore
Stefano Valente è nato nel 1963 a Roma. Fin da piccolo è immerso in
un’atmosfera di cultura viva che ruota principalmente attorno alle personalità
del nonno paterno, Anton Pietro, Accademico delle Belle Arti di Roma che lo
incoraggia ai primi esercizi di disegno, e del padre Donatello, anch’egli
persona poliedrica - architetto, pittore, critico e storico dell’Arte,
giornalista - che lo sprona a coltivare la scrittura assecondando,
contemporaneamente, l’inclinazione “famigliare” che Stefano ha per il figurativo
e la grafica in generale. Laureato in
Glottologia, passa dal giornalismo free-lance a collaborazioni e corrispondenze
dall’Italia per conto di testate-stampa e stazioni radiofoniche estere
(soprattutto in Canada e Portogallo); sceneggiatore e disegnatore di fumetti,
nonché illustratore e traduttore (principalmente dal portoghese e dall’inglese)
per alcune case editrici. Dalla metà degli anni ’80 avverte la necessità di
canalizzare il flusso creativo senza dispersioni e la la scrittura diviene
mezzo privilegiato. Nel 2004 ha pubblicato il romanzo Del Morbo - Una cronaca
del 1770, edito da Serarcangeli. Nel 2008 è uscito il suo romanzo Lo Specchio
di Orfeo, pubblicato da Liberamente (Barbera Editori) e tradotto anche in
Portogallo (da Ésquilo Edições). Vincitore dei premi letterari «Mondolibro» nel
1998 e nel 1999. Ha curato laboratori di scrittura creativa ed editing testuale
per alcune associazioni culturali e agenzie letterarie, fra le quali Il
Segnalibro. È stato ospitato con alcune novelle e composizioni poetiche su
varie riviste italiane ed estere, letterarie e non. Interessato alla
micronarrativa, fiorente soprattutto nei paesi di lingua spagnola e portoghese,
cura da anni, come traduttore e non solo, il blog Il Sogno del Minotauro
divenuto oramai un riferimento per la microficción internazionale.
L'intervista
01. Stefano tu sei una delle personalità più brillanti ed eclettiche che ho
avuto l’onore di conoscere grazie al “Talento nella Storia”. La tua passione
per la cultura si riflette in numerosi campi e sfaccettature che ho ritrovato
in parte anche nel romanzo protagonista di questo articolo, ovvero “Lo Specchio
di Orfeo”. Mi piacerebbe approfondire in apertura di intervista quel che
riguarda specificatamente il tuo iter culturale riguardo la Storia e riguardo i
tuoi interessi linguistici e glottologici che alla Storia sono ovviamente
legati. Come ti sei avvicinato alla nostra amata Storia e quali sono stati gli
input che ti hanno spinto a occuparti di romanzi storici?
Ti ringrazio, Andrea, per le belle parole con cui mi descrivi, ma che non
credo di meritare. La tua domanda me ne fa venire in mente un’altra: è
possibile una letteratura senza cultura?... Io credo proprio di no. Per
cultura, naturalmente, non intendo solo i libri e il “sapere libresco”, ma
tutti i diversi aspetti che sottendono alle società umane, primo fra tutti il
linguaggio. Come glottologo, cioè studioso delle lingue (in senso storico –
diacronico – e non solo), ad esempio non smette di entusiasmarmi quanto la
struttura della nostra lingua madre condizioni anche i nostri processi mentali.
Il nostro pensiero si articola in parole e frasi che necessariamente
obbediscono alle strutture della/e lingua/e con cui comunichiamo abitualmente.
Siamo convinti che il tessuto della realtà sia uno e uno solo per tutti gli
esseri umani; di fatto, non è così. Prendiamo i colori: mentre noi sappiamo
bene a quale colore ci riferiamo parlando del cielo, in greco antico non
esisteva un termine per ‘azzurro’, e in gallese glas riunisce tutta la gamma
dei verdi e dei blu. Più o meno lo stesso accade con la parola giapponese ao,
che vale sia per azzurro che per verde, al punto che, in Giappone, la luce
verde dei semafori è decisamente tendente al blu. La lingua, in definitiva,
finisce per “plasmare” il modo nel quale vediamo il mondo. Ma vengo alla Storia
– o alle Storie… Io trovo che la stessa “molteplicità dei mondi” che emerge
dallo studio delle lingue sia evidente nel racconto degli eventi significativi
che fonda una società umana. Questa narrazione è una definizione possibile di
Storia. Basta però riflettere un attimo ed è subito chiaro che non esiste una
Storia unica, valida per tutti. Uno stesso fatto è tramandato da differenti
autori – e popoli – in modi anche radicalmente diversi. Personalmente, sono
stato sempre affascinato dalla “Storia dei vinti”, dalla versione di coloro
che, spesso per ragioni politiche, la Storia – quella con la s maiuscola –
l’hanno subìta, più che interpretarla. Le loro storie minuscole hanno e, credo,
devono avere, la medesima dignità universale che si riconosce alla “Storia
ufficiale”. Immagino sia per questo motivo che le mie storie sono profondamente
impregnate di… Storia. È un gioco di parole per nulla involontario. Perché,
come si vede bene nella coppia inglese History/story (o nella meno nota
História/estórias del portoghese, la mia seconda lingua), la storia senza
maiuscola è anche il racconto di fatti immaginari, può essere il resoconto di
cronisti fittizi, la raccolta di testimonianze inventate. O di libri e
manoscritti che (Borges docet) non esistono, ma potrebbero esistere… Ecco: la
verosimiglianza è un aspetto imprescindibile della struttura narrativa, e forse
ancor più per la cosiddetta narrativa d’immaginazione. È un aspetto “etico”
della scrittura che si offre al lettore: l’autore deve comporre un tessuto
narrativo documentato, plausibile nel senso di una seria ricostruzione storica.
Altrimenti si finisce per ingrossare il filone oceanico dei romanzi
“infarinati” di date, condottieri, grandi genî del passato o, peggio, di
Templari e di codici. Ce n’è davvero bisogno?... È una mancanza di rispetto:
nei confronti dell’intelligenza di chi legge e nei confronti della stessa
Storia…
02. “Lo Specchio di Orfeo” è un romanzo magnifico nei suoi aspetti
culturali e innovativi. Leggerlo è un’esperienza non comune, sia per la
struttura con cui si articola che per le tematiche trattate. Come è nata nella
tua testa questa opera e quale è stato il suo iter formativo? E una volta
portato a termine cosa ti è rimasto dentro di questa esperienza?
È stata una grande sfida. Ma in fondo ogni scrittura lo è. Il primo nucleo
narrativo è stata l’idea di riscrivere il mito di Orfeo. Mi è sempre piaciuto
quest’aspetto dei miti (che sono «storie trasmesse con varianti», come dice
Roberto Calasso), della classicità greco-romana e non solo: quel germe interno
che fa sì che essi proliferino e si moltiplichino in nuove versioni che
aggiungono nuovi punti di vista, nuove rivelazioni. È venuto fuori il testo di
un manoscritto medievale e, da lì, è “apparso” il filologo che l’aveva
scoperto, e poi la sua strana morte – e l’indagine dell’altro filologo suo
allievo per far luce sulla misteriosa fine del suo insegnante. Un’indagine che
porterà protagonista e lettore molto lontano, nello spazio e nel tempo: dal
Portogallo del ’500 alla Terrasanta delle Crociate, dai giochi di potere delle
multinazionali contemporanee alla Praga degli alchimisti, dei cabalisti e di
Rodolfo II… Riguardo al lavoro di scrittura vero e proprio, Lo Specchio di
Orfeo ha richiesto più fasi, sia di “costruzione” sia di editing. Io amo la
narrativa che gioca con strutture “altre”, che in qualche modo faccia avanzare
il lettore nella storia con gli stessi dubbi e le stesse rivelazioni dei
protagonisti. Questo romanzo è stato pensato come una raccolta di documenti:
ciò che rimane di un manoscritto, parti del saggio filologico che lo
analizzano, appunti personali dei personaggi, brani di lettere, e-mail,
articoli di giornale ecc. Va da sé che la giustapposizione dei testi – e
prim’ancora la differenziazione delle varie “voci” – è stata tutt’altro che
semplice. Se qualcosa mi è rimasto dentro di quest’esperienza, forse è
soprattutto l’umiltà del “lavoro” della scrittura: un cammino costante,
difficile, pieno di ripensamenti, che esige dedizione assoluta e che non dà mai
nulla per scontato… Un cammino che nasce innanzitutto dalle molte (e attente
letture). Lo dico polemicamente, vivendo in una nazione in cui sono moltissimi
a scrivere ma pochissimi a leggere…
03. “Lo Specchio di Orfeo” brilla per l’elaborata base storico-culturale di
cui è dotato. Quali sono state le tue ricerche in merito, le fonti consultate e
quali le difficoltà oggettive nel portare avanti un romanzo di tale
complessità? Hai mai avuto il timore che un lettore non particolarmente ferrato
sugli argomenti affrontati, potesse perdersi nei meandri della tua opera?
Per Lo Specchio di Orfeo è stato necessario uno studio lungo e complesso,
ma non poteva essere altrimenti. Questo, associato alla particolare struttura
narrativa, ha significato una serie ininterrotta di battute d’arresto e
ripartenze, di ripensamenti e revisioni. Mi accorgo solo ora che quella
pubblicata è la quinta versione del romanzo… La ricerca bibliografica è passata
per testi a volte introvabili, mi ha fatto scoprire opere dalle teorie
affascinanti: vorrei citare, per tutte, Atena Nera di Martin Bernal (Nuova
Pratiche Editrice, Milano 1997), e il fondamentale lavoro di Charles Segal,
Orpheus: the Myth of the Poet (Johns Hopkins University Press, Baltimore and
London 19932). Quanto all’ultima parte della domanda, ritorno al concetto di
rispetto nei confronti del lettore. Chi legge ha il sacrosanto diritto di
scegliere se andare avanti o chiudere il libro per sempre. Ma, ancor prima, lo
scrittore ha l’obbligo di rendere fruibile la sua opera, anche per chi sia
totalmente digiuno riguardo alle tematiche trattate. Nel concreto, si tratta di
far “funzionare” un romanzo su più livelli. Se, ad esempio, il plot è ben
costruito e i personaggi sono convincenti, allora anche il lettore
“superficiale” rimarrà avvinto dalla narrazione. E proseguirà fino in fondo. E
qualcosa resterà nella sua mente e nella sua memoria, persino di argomenti che non
avrebbe mai immaginato di affrontare. La scrittura, per me, ha senso se riesce
a stimolare la curiosità e l’interesse in chi legge. Se dalle pagine qualcosa
“sopravvive” dentro le coscienze. Il mito di Orfeo, per esempio. Qualche tempo
fa ho ricevuto una mail che mi ha fatto molto piacere: «Non sapevo neanche chi
fosse, Orfeo, e adesso invece ho scoperto un sacco di cose…».
04. Gli aspetti esoterici costituiscono uno dei fattori del romanzo in
questione, una chiave d’interpretazione del reale. Tali aspetti vengono
affrontati con competenza e talento, rifuggendo da banalità e superficialità
che troppo spesso potrebbero entrare in gioco. Vogliamo approfondire cosa
rappresenta per te questa ricerca interpretativa e soprattutto qual è
l’alchimia per rifuggire dai luoghi comuni e dall’esoterismo inteso come una
delle tante “mode” del millennio?
«Ciò ch’è in basso è come ciò ch’è in alto, e ciò ch’è in alto è come ciò
ch’è in basso, per fare i miracoli della cosa una», recita forse il più noto
dei testi sapienziali, la Tabula Smaragdina. Ne Lo Specchio di Orfeo ho tentato
soprattutto di mettere in luce l’insegnamento “analogico” della tradizione
esoterica e, ovviamente, del mito. Non mi interessava e non mi interessa
l’“esoterismo di cassetta” che, con titoli nuovi ogni settimana, affolla gli
scaffali promettendo colpi di scena a base di cavalieri Templari e codici. Non
c’è nulla del genere ne Lo Specchio di Orfeo. L’ultimo segreto, la pietra
filosofale – chiamiamola come vogliamo –, è per l’appunto una differente
interpretazione della realtà. La conoscenza esoterica, il dettato occulto del
mito (e del rito che perpetua il mito), non è altro che il disvelamento dei
grandi misteri dell’esistenza attraverso simboli e narrazioni ancestrali, icone
e storie che vengono moltiplicate (riflesse, si potrebbe dire, giocando ancora
con gli specchi) nel minuscolo quotidiano dell’uomo. In definitiva: l’ansia del
vero alchimista non era cercare il segreto della trasmutazione del metallo vile
in oro, ma la comprensione dell’universo. Macrocosmo e microcosmo sono
strettamente connessi in una fitta rete di analogie ed equivalenze. Se ogni
libro è in se stesso una composizione, un’alchimia, quella de Lo Specchio di
Orfeo (peraltro suddiviso in quattro parti, corrispondenti alle quattro fasi
dell’opus alchemicum) tenta di mostrare i diversi livelli della realtà, ma
anche – e soprattutto – che una piccola, insignificante vita umana, ha il
valore sacro di un intero mondo…
05. Tu provieni da una famiglia di persone fortemente impegnate nell’arte e
nella cultura. Tuo padre, ancor prima tuo nonno, persone di spicco nel panorama
artistico e letterario e personalità che ti hanno sicuramente tramandato la
poliedricità culturale. Dalla tua biografia ho letto delle tue tantissime
passioni. Come e perché sei arrivato a canalizzare il “flusso creativo” nella
scrittura, eleggendola a espressione artistica privilegiata? E soprattutto, il
tuo modo di intendere la scrittura non è fine a se stesso ma è inteso anche in
questo caso come una ricerca… ricerca di linguaggi e strutture narrative
innovative…
La scrittura… Per me è un cammino arduo, come ti ho già detto, che non si
presta a improvvisazioni. Forse è la disciplina insita nel “lavoro” della
scrittura: è questo l’aspetto che più mi aiuta a canalizzare una spinta
creativa che, altrimenti, si disperderebbe scompostamente. E, sì, per me
scrivere è sinonimo di ricercare: strutture narrative e linguaggi “altri”.
Innovare e sperimentare, in un certo senso, tenendo però sempre in mente la
fruibilità della narrazione – perché non si scrive per se stessi ma per gli
altri. La struttura de Lo Specchio di Orfeo, ad esempio, gioca molto sui
differenti registri linguistici (il documento epistolare, il saggio, l’e-mail,
il manoscritto…), ma anche sulla pluralità di voci dei protagonisti. Trovo
affascinante anche il racconto che si muove tra più piani spaziotemporali. Di
fatto non pongo limiti all’impianto strutturale della mia scrittura, purché sia
rispettata la coerenza generale, s’intende. Quanto ai linguaggi e alla ricerca
linguistica, avrei molto da dire. Nello specifico, negli ultimi anni ho
lavorato molto all’inseguimento dell’oralità – che, ovviamente, per funzionare
in senso “letterario”, non può limitarsi alla mera e fedele riproduzione del
parlato…
06. Stefano, c’è un altro argomento che vorrei approfondire e capire se in
qualche modo è legato a quanto ci siamo detti finora… la passione per il
Portogallo e la cultura lusitana, considerando inoltre che molte tue opere
hanno mercato proprio in Spagna e Portogallo…
Quello cCosa posso dirti? Da tempo – mi sembra da sempre – ho scelto il
Portogallo e il portoghese come mio paese e lingua “dell’anima”. Ed è vero: ad
esempio Lo Specchio di Orfeo si svolge in Portogallo, ed è stato tradotto e
pubblicato anche in portoghese… Da ragazzo, sempre appassionato di lingue, mi
avvicinai ai primi testi in portoghese: erano le poesie dei grandi del ’900,
primo fra tutti Fernando Pessoa. Rimasi folgorato. Mi conquistò subito il punto
di vista così diverso, lo sguardo inquieto e distante che quei poeti gettavano
verso l’orizzonte, da quell’estremità d’Europa (poi ho scoperto) così poco
europea, proiettata sull’oceano e sui sogni di imperi trascorsi. Studiare la
lingua e la cultura lusitana – che non è solo Portogallo, ma anche Brasile,
Africa, Asia – è stato il passo successivo. È più d’una passione. La
melancolia, quell’assenza-presenza che spinge a vedere insieme il vero e il suo
rovescio, sono tratti peculiari della “lusitanità” tanto quanto della mia
natura… Forse la grande lezione della letteratura lusitana sta proprio in
questa che io chiamerei coscienza dello straniamento. È la stessa pulsione per
la quale Pessoa è stato uno e molti (tutti i suoi eteronimi). E mi riallaccio a
quanto detto prima, all’equazione linguaggio = visione del mondo. A volte mi
sorprendo a pensare in portoghese. O persino a immaginare e poi scrivere un
racconto. E se poi lo traduco in italiano mi appare irrimediabilmente carente,
imperfetto…
07. Abbiamo parlato principalmente de “Lo Specchio di Orfeo” ma io sarei
interessato a conoscere qualche curiosità riguardo l’altro tuo grande romanzo
storico “Del Morbo – Una cronaca del 1770”, uscito per di più in nuova
edizione.
Del Morbo è un’altra storia con la s minuscola – un altro racconto narrato
dagli ultimi, dagli sconfitti. La scena è Lille Havn (‘piccolo porto’), una
cittadina costiera in un minuscolo regno del Nord, da qualche parte fra Prussia
e Danimarca. L’anno è il 1770. Nel contrasto fra la nitida Raison illuministica
che sta investendo l’Europa, e il fanatismo religioso di quella buia periferia
settentrionale, non si distingue una verità indubitabile e assoluta. È uno
strano inverno: ogni cosa appare estranea, remota, mentre avanza la morsa di
ghiaccio che si accompagna alle nebbie della baia. All’improvviso, indistinto e
irraggiungibile, il profilo inclinato di un veliero all’àncora in alto mare,
immobile sul filo dell’orizzonte. La sua comparsa coincide con l’erompere
spaventoso e senza spiegazione di un’epidemia che farà piombare la malattia e
la morte su Lille Havn…
Anche in Del Morbo ho cercato una struttura e una lingua non consuete. La
narrazione della medesima vicenda resa da più voci dà vita a più prospettive
come in un gioco di specchi che riflette il racconto di rovine e trionfi, che
moltiplica le gesta di piccole e grandi figure umane. Un anonimo cronista del
tempo ricostruisce e confronta i fatti – o le allucinazioni, o i miracoli –,
con rigore settecentesco. Un rigore filtrato da un linguaggio che ricalca – ma
in realtà reinventa – la frase e il vocabolario del XVIII secolo. Una lingua
reinventata, seppure con scrupolo filologico: funzionale, in chiave letteraria,
a esprimere tutto il terribile e il meraviglioso di un’avventura ai limiti del
mondo che è anche una disperata ricerca di Dio, o della sua assenza. D’altra
parte forse non è un caso che tutto sia nato da una visione, da un sogno a
occhi aperti, che ha poi originato il finale del libro...
Sono molto legato a Del Morbo – Una cronaca del 1770. Anche se, in
generale, non credo ai premi letterari, sono fiero che questo romanzo ne abbia
vinti. Non appena i diritti del libro sono tornati in mio possesso ho curato
una nuova edizione (in libro, in ebook e in formato kindle).
08. A cosa stai lavorando e quali sono i tuoi progetti letterari futuri? E
vorrei chiudere sulla tua esperienza con il mondo editoriale… è davvero così
difficile divulgare il proprio talento letterario?
A parte il sito Il Sogno del Minotauro, in cui curo soprattutto la
traduzione e la diffusione del racconto breve e brevissimo (che da noi, al
contrario soprattutto dei paesi di lingua spagnola, non ha tradizione), ho
appena terminato un “romanzo orientale” con mie illustrazioni, ambientato
nell’epoca delle Scoperte un lavoro che mi ha impegnato a lungo, anche dal
punto di vista grafico. È l’ennesimo “gioco” che faccio con la Storia, non
perdo il vizio… Progetti? Vorrei dedicarmi alla promozione di alcuni miei
inediti, in particolare alla quadrilogia che ho intitolato Il Ciclo del Motore
E. (dal suo primo romanzo: Il Motore E.). Si tratta di quattro distopie del
futuro – quattro visioni del mondo a venire contrassegnate da una narrazione
sempre alla ricerca dell’oralità. Ma anche quattro storie accomunate dal tema
dell’amore: disperato, crudele, tenero, impossibile... Ogni romanzo ha vita
autonoma: pur inserito nel contesto del ciclo, ciascun libro è indipendente e
si situa in un tempo e in una fase a sé stanti dell’Era del Motore E. Tengo
molto a questa quadrilogia sia perché sviluppa strutture e linguaggi narrativi
divergenti, sia perché approfondisce un tema che ritengo attualissimo: il
pericolo dell’omologazione che schiaccia e assimila tutto e tutti, sacrificando
senza alcuno scrupolo le esistenze che “non si conformano”. Difficile dare una
collocazione di genere al Ciclo del Motore E.: potrebbe rientrare nella Social
Science Fiction ma è sicuramente una distopia; forse è assimilabile a libri (lo
dico con tutta l’umiltà possibile) come Mattatoio n. 5 di Vonnegut. Di fatto la
fantascienza mi attrae solo se sostenuta da un plot impeccabile – penso a Dick
– e quando cela in sé un “insegnamento” che sia valido per la realtà
contemporanea (perché il futuro forse non è altro che un passato raccontato
dentro un sogno – o dentro un incubo, chissà...). Che altro dire? In attesa che
qualche editore italiano si incuriosisca, io seguito la difficile vita della
scrittura. Mi conforta il sostegno di professionisti seri del settore,
purtroppo non italiani. I diritti de Lo Specchio di Orfeo e di altri miei due
inediti sono rappresentati da Juliane Roderer e dalla sua Literaturagentur di
Monaco. Nel contempo, l’agenzia spagnola “Página Tres” di Barcellona cura i
diritti e le traduzioni di altre mie opere.
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Libreria Universitaria - Unilibro -
Per approfondire
- Il sito ufficiale di Stefano Valente - www.stefanovalente.com
- Res Lusitaniae il sito di S. Valente che si occupa di lusitanistica -
http://reslusitaniae.blogspot.it
- Res Lusitanae altri sito di S. Valente che si occupa di lusitanistica -
link
- Il Sogno del Minotauro, microficciòn e narrativa breve - http://sognodelminotauro.blogspot.com
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