sabato 31 maggio 2014

Uno scrittore 'sull'orlo del mondo': Roma e il Portogallo nel romanzo di Stefano Valente „Uno scrittore 'sull’orlo del mondo': Roma e il Portogallo nel romanzo di Stefano Valente

Notizia sulla presentazione di Stefano Valente all'IPSAR in
http://www.romatoday.it/eventi/sepre-mirto-romanzo-stefano-valente.html

Uno scrittore 'sull'orlo del mondo': Roma e il Portogallo nel romanzo di Stefano Valente


Uno scrittore 'sull'orlo del mondo': Roma e il Portogallo nel romanzo di Stefano Valente

Grande affluenza di pubblico ieri 29 maggio, nella splendida cornice del salone nobile dell’Istituto di Cultura Portoghese di Roma, per la presentazione dell’ultimo romanzo di Stefano Valente, “La Serpe e il Mirto (1978)”, edito da Parallelo45. Valente e il suo nuovo libro – una storia che intreccia il Mystery e il Giallo esoterico sullo sfondo degli anni di piombo (e prende il via proprio in quel drammatico 16 aprile ’78 del rapimento Moro) – sono stati introdotti dall’ambasciatore del Portogallo presso la Santa Sede, António de Almeida Ribeiro. La presentazione è stata curata dalla traduttrice e curatrice editoriale Guya Parenzan.
LA SERPE E IL MIRTO - “La Serpe e il Mirto (1978)” narra il tuffo nel Mistero – fino al Mistero dei misteri – di Aguilar Mendes, studioso di letteratura, che dall’Argentina dei militari e dei desaparecidos è scaraventato negli “oscuri” vicoli di Roma, nel labirinto dei suoi enigmi, millenari e presenti. Ma è anche una spy-story che scava nei segreti del Potere e dei suoi perversi ingranaggi che muovono le vite degli uomini come pedine cieche su una scacchiera di sangue. Lo stesso gioco spietato che trascinerà il protagonista, Aguilar Mendes, dall’Italia a Lisbona, da Oporto al Brasile, dalla Terra del Fuoco ai misteri della Roma sotterranea.


Uno scrittore 'sull'orlo del mondo': Roma e il Portogallo nel romanzo di Stefano Valente

L'AUTORE E IL PORTOGALLO - L’ambasciatore de Almeida Ribeiro, e il rettore dell’Istituto di Cultura Portoghese monsignor Agostinho da Costa Borges, hanno ricordato il legame inscindibile di Stefano Valente con il Portogallo e la sua cultura. Il portoghese è la sua “lingua dell’anima”, e “La Serpe e il Mirto (1978)” è il suo secondo romanzo che vortica attorno alla «minuscola nazione affacciata sull’orlo del mondo, dal suo "immenso passato che continua a segnare il futuro"; nel 2008 è infatti uscito l’altro thriller esoterico “Lo Specchio di Orfeo” (Barbera editore), pubblicato contemporaneamente anche in Portogallo (“O Espelho de Orfeu” – Ésquilo edições).
PATROCINIO AMBASCIATA PORTOGHESE - La presentazione, sotto l’alto patrocinio dell’ambasciata portoghese presso la Santa Sede, è stata ospitata nel fastoso e storico salão nobre dell’Istituto di Cultura, che sorge nello stesso complesso della chiesa di Sant’Antonio dei Portoghesi, al centro di Roma, in via dei Portoghesi. Giornalisti e figure d’eccezione della cultura lusofona tra il pubblico che ha gremito il salone: anche Rita Desti, la traduttrice e la “voce italiana” del Premio Nobel José Saramago. Una curiosa coincidenza per un libro imperniato sulle giravolte del destino e del Tempo: è proprio di ieri la notizia dell'avvio di una nuova commissione di inchiesta parlamentare sul caso Moro.





mercoledì 28 maggio 2014

I muri che mormorano... l'artista plastica Manuela Pimentel a Giugno, nella galleria IPSAR

http://www.ipsar.org/modules.php?name=News&file=article&sid=115

5 giugno - Galleria IPSAR: Manuela Pimentel, “Murmúrios de Muros”


«Tappezzare le mura, arredarle, graffitarle. La libertà è sempre condizionale, condizionata. L’orizzonte è sempre coperto da muri. Se l’interno è, per definizione, una gabbia, l’esterno è un labirinto. E il dentro si distingue dal fuori soltanto dal soffitto, non dalle pareti. E dagli occupanti. Dentro, ci si sta a casa. Fuori, circolano minotauri e cacciatori di minotauri e ragazzine impaurite, sacrificate ai mostri.» Inaugurazione giovedì 5 giugno alle ore 18:00.


L’inaugurazione di Murmúrios de Muros di Manuela Pimentel avrà luogo giovedì 5 Giugno 2014, alle ore 18.00 presso la galleria d’arte dell’Istituto Portoghese di Sant'Antonio in Roma in Via dei Portoghesi, 6.
La mostra rimarrà aperta sino al 22 Giugno 2014 dal mercoledì alla domenica, dalle 17.00 alle 20.00.

Mormorii di muri

«Le ragazzine non dovrebbero mai essere rinchiuse. I sogni nascono della carenza. Il principe azzurro è un fantasma generato dalla mancanza d’amore. Le mura trasudano desiderio di libertà. Ma il paradosso del prigioniero, descritto da Kafka, è inevitabile: se, da un lato, la voglia del recluso è tutta rivolta verso un unico punto di fuga - o meglio, d’evasione - che determina la prospettiva totale, d’altro canto è necessario sopravvivere alla clausura e, così, far diventare confortevole la cella confortevole o, almeno, abitabile. Tappezzare le mura, arredarle, graffitarle. La libertà è sempre condizionale, condizionata. L’orizzonte è sempre coperto da muri. Se l’interno è, per definizione, una gabbia, l’esterno è un labirinto. E il dentro si distingue dal fuori soltanto dal soffitto, non dalle pareti. E dagli occupanti. Dentro, ci si sta a casa. Fuori, circolano minotauri e cacciatori di minotauri e ragazzine impaurite, sacrificate ai mostri. E magari altri esseri, timidi o imbarazzati, che hanno scritto sulle mura la sua fame o la sua profusione d’amore, che sono esseri chiusi sofferenti dalle stesse privazioni, con i quali la prigioniera, pur non vedendogli, si riconosce somigliante, sorella. Una soluzione sarebbe interiorizzare le mura della città, con le sue maioliche, i suoi cartelloni strappati e i suoi graffiti, con i suoi racconti, le sue promesse, le sue grida - perché le mura parlano a chi le sa ascoltare; trasportarle dentro casa, appenderle come una fila di finestre coperte nelle pareti interiori della cella mentale, rispondere all’invito che loro fanno. Perché la libertà rimane sempre dall’altra parte. Da questa qua ci sono i giorni contati, le dichiarazioni cancellate, le lacrime contenute, gli incontri mancati, i messaggi strappati, i desideri murati, il peso dei pentimenti.


Manuela Pimentel
Nata a Oporto nel 1979. Vive e lavora a Leça da Palmeira.
Il suo lavoro si sviluppa in diverse aree e pratiche artistiche, tra le quali la pittura, il disegno, la scenografia e il video.
Laureata in Arti Plastiche, indirizzo Disegno, si è poi specializzata in Litografia e Arte Multimediale nella Escola Superior Artística do Porto (ESAP) nel 2003. Formatasi in Xilografia tradizionale giapponese con il Professore Hiroshi Maruyama(Tokyo) nel 2003 e in Incisione con il Professore Dacos (Belgio) nel 2006.
Ha svolto differenti progetti insieme ad altri artisti, dai quali risaltano gli ultimi interventi in ambito scenografico per il teatro e il cinema: Cyrano de Bergerac nel Teatro de Ponte de Lima, 2011; Fraseador nel Teatro Campo Alegre, 2012;i cortometraggi Check Point Sunset, di Pedro Ludgero, 2012 e KINO di Natalia Warth, girato a Roma nel 2012. È stata varie volte l’artista invitata per la costruzione dell’immagine dello spettacolo di Poesia, inserito nel progetto Quintas de Leitura nel Teatro Campo Alegre, a Oporto.
Fondatrice di “Impressões de Risco” nel 2004, presenta lì il suo lavoro in diversi formati portatili con l’obiettivo di rendere l’arte accessibile a tutti. Nel 2007 ha ricevuto il 1º premio di Pittura “Servartes - Corpo em expressão” e nel 2004 il premio ESAP del Corso Superiore di Arti Plastiche. La sua opera è rappresentata in diverse collezioni pubbliche e private.Collaboratrice e membro del Gruppo “Afrontamentos” dal 2008.
Presente in diverse mostre personali e collettive dal 2001. Da registrare il suo intervento nel 2012 nella galleria Edge Arts a Lisbona e nella galleria Otto luogo dell'arte a Firenze con “Tabula Rasa”; “NOC NOC” a Guimarães, Capitale Europea della Cultura, con la scultura “P.S. AMO-TE” – un aereo in acrilico e resina su cartelloni pubblicitari, tecnica che esplora in diversi formati.



martedì 27 maggio 2014

31 maggio: notte di Fado a Sant'Antonio dei Portoghesi



Sabato 31 Maggio 2014 Ore 21.00

Concerto di Musica Portoghese

Cortile dell’Istituto

Tradizionale Notte di “Fado” 

Sérgio da Silva, Voce
Paulo Valentim, Chitarra portoghese
Bruno Costa, Chitarra classica

(Ingresso con partecipazione alle spese e fino ad esaurimento posti)



venerdì 23 maggio 2014

29 maggio, ore 18:00 - presentazione dell'ultimo romanzo di Stefano Valente, "La Serpe e il Mirto"



L'ultimo romanzo di Stefano Valente, glottologo e lusitanista, studioso delle lingue e letterature ibero-romanze,un "tuffo nel Mistero – fino al Mistero dei misteri – di Aguilar Mendes, studioso di letteratura, che dall’Argentina dei militari e dei desaparecidos è scaraventato negli “oscuri” vicoli di Roma, nel labirinto dei suoi enigmi, millenari e presenti." Lisbona e Porto e anche una scena ambientata a Sant'Antonio dei Portoghesi.

Presentazione a cura di Guya Parenzan. Sessione presieduta da S. E. l’Ambasciatore del Portogallo presso la Santa Sede, Dott. António de Almeida Ribeiro.

il giovedì 29 Maggio 2014, alle ore 18.00
nel salone nobile dell’ Istituto Portoghese di Sant'Antonio in Roma
Via dei Portoghesi, 2

La serpe e il mirto (1978) ovvero il tempo secondo Aguilar Mendes
di Stefano Valente

Il tuffo o nel Mistero – fino al Mistero dei misteri – di Aguilar Mendes, studioso di letteratura, che dall’Argentina dei militari e dei desaparecidos è scaraventato negli “oscuri” vicoli di Roma, nel labirinto dei suoi enigmi, millenari e presenti. L’azione prende il via proprio nella mattina cruciale del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse: da qui in poi Aguilar Mendes, verrà travolto dal girotondo del Tempo che, da quel giorno di piombo del 1978, lo condurrà avanti e indietro per i continenti, tra figure spettrali, complotti politici, segreti e amori. Gli “ospiti” di una strana pensione di Roma. Epici bravacci che portano il terrore e il carnevale fin dentro il cuore del Brasile. Santi-teologi in bordelli della Terra del Fuoco. Un gatto di Oporto (?) e tre cani infernali. Antenati-Serpenti dell’altra parte del mondo. Le malinconie dolci di Lisbona.


Stefano Valente, glottologo e lusitanista, è studioso delle lingue e letterature ibero-romanze. Tra i titoli pubblicati: il romanzo storico Del Morbo – Una cronaca del 1770 (Serarcangeli, 2004), Premio Athanor; il thriller esoterico Lo Specchio di Orfeo (Liberamente, 2008), tradotto anche in Portogallo (O Espelho de Orfeu – Ésquilo Edições). Nel 2013 ha vinto il premio “Linguaggi Neokulturali” (www.kultural.eu) con l’inedito Di altre Metamorfosi, primo su 2046 romanzi. La sua è una scrittura colta, attenta ai vari livelli di linguaggio, che ama sperimentare nuove strutture narrative, spesso “giocando” – e incrociando – i più diversi generi letterari. Da sempre insegue e tenta di descrivere «quel tratto, quell’attimo comunque decisivo, in cui l’essere umano agisce – o si estrania – e nega se stesso scoprendo il suo contrario».  

Guya Parenzan è nata nel 1963. Francesista, traduttrice, editor e curatrice editoriale, ha lavorato per agenzie letterarie e tradotto romanzi e saggi dal francese per case editrici italiane. La affascinano la mitologia, la storia delle religioni, la psicologia, l'antropologia e, in genere, la letteratura che rivela nuovi mondi, o che racconta quello in cui viviamo da un punto di vista differente e originale.

lunedì 19 maggio 2014

Su Rai1 arriva LEGAMI, vincitrice Emmy

La serie portoghese che ha sbancato tutti gli indici di ascolto



Il 24 maggio al via in prima serata su Rai1, le prime due puntate della serie portoghese "Legami" che ha sbancato tutti gli indici di ascolto dei paesi in cui è stata presentata, aggiudicandosi il prestigioso Emmy Award come miglior serie TV. Gigi D'Alessio firma per l'Italia la sigla iniziale della serie. Protagoniste le modelle e attrici Diana Chaves e Joana Santos affiancate da Diogo Morgado, noto per la sua recente interpretazione di Gesù nella miniserie americana La Bibbia."Legami", portata in Italia dalla Valter Casini Edizioni è una coproduzione di 320 puntate tra la portoghese SIC e la brasiliana TV Globo per la regia di Bruno José e Patricia Sequeira. 

Siamo nel 1984. Una ricca famiglia decide di trascorrere il pomeriggio sulle rive di un fiume nel nord del Portogallo. Le bambine, Ines e Marta, giocando iniziano a litigare per una bambola e finiscono in acqua. Il padre riesce a salvare Ines ma muore mentre cerca di trarre in salvo Marta. Una coppia, la cui figlia è morta da poco, la trova lungo la strada, sola, smarrita e ferita; decide di trarla in salvo prendendosi cura di lei e portandola a Lisbona. Marta per loro diventerà Diana assumendo il nome della loro figlioletta morta. Un salto temporale ci porta nel 2010. Diana, da sempre afflitta dalla povertà in cui vive la sua famiglia, ascolta fortuitamente una conversazione tra i suoi genitori e viene a sapere di non essere la loro figlia naturale. Inizia così ad indagare sul suo passato e scopre chi è la sua vera famiglia. "Legami" si è aggiudicata anche una nomination ai Golden Globe in Portogallo.

http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/tv/2014/05/12/su-rai1-arriva-legami-vincitriceemmy_
0effc733-173f-459c-90c6-640d21a5e11e.html


giovedì 15 maggio 2014

21 maggio, ore 17:30 - presentazione "Bertina Lopes. Tutto ( quasi)"

La Direttrice della Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte
Maria Concetta Petrollo Pagliarani 
è lieta di invitare la S.V. alla presentazione del volume


Bertina Lopes. Tutto ( quasi) 
di
Claudio Crescentini
Palombi editore

Mercoledì 21 maggio 2014 ore 17:30

 Sala della Crociera

via del Collegio Romano, 27 - Roma


Nell'universo artistico contemporaneo Bertina Lopes è un riferimento obbligato. L'intensa artista luso-monzambicana non ha mai dimenticato le sue origini paterne e la cultura pittorica di Lisbona, dove si è formata negli anni Quaranta e Cinquanta, prima del suo arrivo in Italia, nel 1964. Nelle sue opere, già in quegli anni, era presente il profondo slancio verso la libertà e la democrazia. Bertina Lopes è sempre riuscita a superare le disuguaglianze e le barriere tra uomini e culture, nell'arte e nella vita, trascorsa tra Maputo, Lisbona e Roma. In questo contesto apprezziamo l'iniziativa di un archivio a lei dedicato e di un volume di studi che raccoglie, in maniera puntuale e scientifica, tutto il materiale raccolto e inventariato in questi anni, fra cui la ricca documentazione che la lega indissolubilmente all'arte e alla cultura del Portogallo.


Mamma B: INDIMENTICABILE!

lunedì 12 maggio 2014

Stefano Valente - Guimarães Rosa e la Cultura della lingua Portoghese


Mais um texto do nosso antigo aluno e grande amigo Stefano Valente, que revela o seu amor pela literatura e pela cultura de expressão portuguesa. Obrigado, Stefano!


Guimarães Rosa e la Cultura della lingua Portoghese
Scritto da Stefano Valente.
La história. Le estórias. History. Stories.

IN http://www.kultural.eu/component/content/article/765-2014-05-04-07-18-54

Oggigiorno esistono due grandi idiomi mondiali nei quali si registra la presenza di una scissione formale della gamma di significati della stessa parola: quella che deriva dal latino historia.
Ad un primo sguardo l’esigenza sarebbe, sia per la lingua inglese che per il portoghese, quella di distinguere tra il resoconto, l’esposizione di avvenimenti reali – e a volte persino certificati da testimonianze – (history, história), e la narrazione di fatti immaginari, il racconto, la fiction, la fabula, eccetera (story, estória).
Non è possibile, tuttavia, liquidare la questione così sbrigativamente. Anzitutto è un vero e proprio dato storico il fatto che nell’inglese le due voci convivano, si potrebbe dire, da sempre, mentre il termine estória sembra rappresentare un’introduzione abbastanza recente in portoghese.
Una breve ricerca sottolinea come, con estória, si sia di fronte a un neologismo, a una forma la cui origine è caratterizzata in senso geografico. Infatti, se il Dicionário da Língua Portuguesa di Almeida Costa e Sampaio e Melo non la riporta (almeno fino alla 7ª ed., del 1994), la incontriamo per esempio nel Vocabulário Ortográfico da Língua Portuguesa della Academia Brasileira de Letras; ancora, estória viene definita un “brasilianismo” da altri dizionari, che la designano pure come portoghesizzazione dell’inglese story.
Al di là dell’essere in grado, o meno, di stabilire con precisione da quale luogo del Brasile, e quando, la forma estória si propaghi nel mondo lusofono – indagine che è compito dei linguisti di professione –, è evidente che la sua diffusione sia legata al contesto letterario, visto che si comincia a parlare di estórias a partire dall’opera del brasiliano João Guimarães Rosa (1908-1967).
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Guimarães Rosa – che qualche critico definì l’Omero, il Cervantes, il Joyce brasiliano (e purtroppo assai poco noto in Italia) – elevò nella sua scrittura il senso della parola estória alla massima potenza: già dall’antologia Sagarana (1946), proseguendo nelle Primeiras Estórias (1962: si presti attenzione al titolo), fino al successo del romanzo Grande Sertão: Veredas (1963), Guimarães Rosa sviluppa la sua narrazione come un enorme racconto composto da migliaia di voci, ciascuna delle quali riporta la sua propria e personale verità dei fatti. Quei fatti che potrebbero apparirci minuscoli, circoscritti e localizzati (anche nell’accezione di regionali), di importanza minore o addirittura inventati, fittizi. Guimarães Rosa, però, ci rivela che è proprio grazie a tutte quelle histórias minori – con l’h minuscola – che è possibile la ricostruzione della verità degli eventi. Eventi che devono essere contemplati e considerati principalmente come vissuto: perché è attraverso il vivere dei protagonisti – e delle loro anime – che il racconto della realtà prende forma, si incarna, assurge all’universalità dell’esperienza umana.
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Partendo dai racconti dei mandriani, dei bovari e delle figure marginali dell’altipiano del Sertão, Guimarães Rosa insegna che, parallelamente alla Storia dei ricchi e dei potenti – di tutti quelli che il più delle volte decidono e determinano ciò che dovrà essere scritto nei libri –, da sempre continuano a scorrere i fiumi delle storie di quelli che non hanno diritti – dei poveri, dei meno fortunati, dei subalterni. E sono quei fiumi, alla fine, e non i miliardi di pagine imposte dai vincitori o dai signori, che vanno a formare l’oceano del tempo degli uomini[1].
Pertanto, estórias non solo come invenzioni letterarie, ma soprattutto come resoconti del vissuto di chi non è degno di menzione, di chi spesso neppure riesce a comparire – a dare un segno della sua presenza sulla terra.
Da Guimarães Rosa estória, con questo valore più pieno e completo, si fa spazio con prepotenza nel linguaggio portoghese moderno. Chi l’adotta – oppure arriva “naturalmente” a far uso di questo vocabolo – sa di non poter prescindere da una matrice ben connotata di narrazione: la rappresentazione di una pluralità di voci nell’atto stesso del loro parlare. Ecco quindi l’oralità, intesa come momento di descrizione corale, a più punti di vista, attenta sul piano linguistico a riprodurre i vari idioletti.
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L’evoluzione dello stile narrativo di José Saramago – che si realizza con Levantado do Chão (trad. it. Una terra chiamata Alentejo), del 1980 – è un esempio chiaro di questo processo. L’autore portoghese passa da escritor a escriturário (un “cronista letterario”, si potrebbe dire) che dà voce agli agricoltori alentejani – che permette a decine di personaggi del misero entroterra portoghese, distanti e distanziati da tutto il resto e da tutto il buono del Paese, di esprimere le proprie verità. È, per l’appunto, un coro di parole di angustia, fatica, disinganno – e anche di speranza, ingenuità, dolcezza. Ma in Saramago questa coralità si arricchisce di un aspetto ulteriore: quello della simultaneità – o meglio, di una atemporalità – dei fatti e dei casi che sono i racconti e i vissuti dei protagonisti; in maniera che, per l’autore, il tempo non è più mera successione di prima e di dopo, una semplice linea retta di accadimenti, ma qualcosa di molto simile a uno schermo unico, sul quale si sommano e fondono volti, vicissitudini, voci.
Dopo Levantado do Chão Saramago non abbandonerà più questa oralità simultanea – non abbandonerà più la estória, e nasceranno capolavori come Memorial do Convento (1982 – Memoriale del Convento), O Evangelho segundo Jesus Cristo (1992 – Il Vangelo secondo Gesù Cristo), Ensaio sobre a Cegueira (1995 - Cecità). Grazie alla estória nel 1998 Saramago sarà insignito del Premio Nobel per la Letteratura.
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In conclusione, la coppia história-estórias è cosa assai differente dall’analoga history-stories. Lo sviluppo di questi due termini segnala, nella lingua portoghese, una consapevolezza ed un livello di esperienza linguistico-letteraria che non hanno pari in altri idiomi o culture.
Forse il percorso di una parola è connesso con avvenimenti imprevisti – o addirittura con le (s)fortune dei suoi parlanti. È comunque un fatto che una letteratura costituita non solo da histórias (dalla Storia maiuscola, e dalle sue “versioni ufficiali”) ma anche da estórias (le storie minuscole dei vinti, dei deboli), riesca a insegnare una diversa, preziosa accezione di ciò che significa «rispetto per l’altro».

[1] La scelta del termine fiumi non è casuale: A Terceira Margem do Rio (La terza sponda del fiume) è il titolo paradigmatico di uno dei racconti più famosi di Guimarães Rosa (contenuto in Primeiras Estórias, edito nel 1962). Nel 1994 ne è stato tratto l’omonimo film del regista Nelson Pereira dos Santos.

mercoledì 7 maggio 2014

Karen Thomas a via dei Portoghesi


Stasera alle ore 18:30 s'inaugura la mostra della pittrice tedesca Karen Thomas nella galleria d'arte dell'Istituto Portoghese di Sant'Antonio in Roma.

VEDERE http://viadeiportoghesi.blogspot.it/2014/04/7-maggio-galleria-ipsar-karen-thomas-il.html

Da domani e ogni giovedì dalle ore 17 l’Artista incontra il pubblico per parlare del compito etico ed estetico dell’arte.


Il colore BLU in tutte le sue sfumature, dall'intenso blu-cobalto, blu-notte come espressione della nostalgia, del sentimento romantico, fino alla leggerezza del blu-azzurro, simbolo della libertà esteriore ma soprattutto INTERIORE. Il colore blu abbinato all'oro è il simbolo per la preziosità e la bellezza della vita. La Bellezza - che nessuno può dire che cosa sia, ma tutti noi la sentiamo, quando ci troviamo davanti. La Bellezza estetica ed etica. "Il fiore blu" del grande poeta tedesco Novalis del ottocento simbolizza il desiderio romantico di un mondo migliore, l'uomo in eterno viaggio verso la Speranza, guardare in alto "oltre l'immagine" lo sguardo alzato verso il cielo azzurro, la trasparenza, la bellezza e la preziosità della nostra vita, di tutta la Creazione, il blu lontano degli oceani che sembra senza fine, come la Speranza...
Ho dipinto una serie di 12 quadri, in verticale, simboleggiando già con il solo formato, 150 cm di altezza per 50 cm di larghezza, la dinamica pittorica che porta lo sguardo in alto, verso la libertà senza vincoli e paure, verso l'ottimismo, verso la SPERANZA. In quasi tutte le opere appare un tocco d'oro, come stelle cadenti portando sulla terra i saluti del cosmo infinito.
Ogni artista ha un compito etico, la tela dipinta, l'opera d'arte, porta un messaggio piu o meno nascosto tra forma e colore, tra luce e ombra, tra chiaro e scuro. Come artista, io mi auguro che la persone che guarda un quadro mio, si senta meglio dopo che prima.
La tecnica è lo strumento dell'espressione, il talento è un dono ma anche una responsabilità verso l'altro. " La chiave di lettura " ognuno porta la sua in se, "la lettura" può cambiare di giorno in giorno, a seconda dello stato d'animo di chi guarda "il mistero del colore BLU".

Karen THOMAS

20 maggio, ore 11 - Luiz Ruffato a Roma Tre



Martedì 20 maggio 
alle ore 11:00 

Aula B 
Università degli Studi Roma Tre
Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere
Via del Valco di San Paolo, 19
00146 Roma

Lo scrittore brasiliano Luiz Ruffato e il prof. Gian Luigi De Rosa incontreranno gli studenti di Portoghese dell'Università degli Studi Roma Tre.

In http://www.lanuovafrontiera.it/autori/item/326-luiz-ruffato
Luiz Ruffato è nato nel 1961 a Cataguases, nello stato di Minas Gerais, Brasile. Prima di diventare uno scrittore, ha venduto pop-corn, ha fatto il cameriere, il commesso, l'operaio in un'industria tessile, il tornitore metallurgico, il giornalista, il libraio e il ristoratore. Oggi è unanimemente considerato il romanziere più interessante e originale della letteratura brasiliana contemporanea. Tradotto, pubblicato e pluripremiato in diversi paesi, Ruffato è riuscito nel giro di pochi anni a imporsi nel panorama letterario internazionale, raccontando un Brasile diverso, lontano dagli stereotipi e ancora tutto da scoprire per i lettori italiani.

VEDERE ANCHE
http://itaucultural.org.br/aplicexternas/enciclopedia_lit/index.cfm?fuseaction=biografias_texto&cd_verbete=8884&lst_palavras


lunedì 5 maggio 2014

7 maggio, ore 19: APOCALISSE, alle origini della fantascienza latinoamericana

mercoledì 7 maggio, ore 19.30 
Nova Delphi libri (via degli Ertuschi, 4)


Alle origini della fantascienza latinoamericana: Camilla Cattarulla e Giorgio de Marchis presentano un'antologia di scrittori latinoamericani che partendo dal tema comune dell'Apocalisse si interrogarono - tra il 1850 e il 1930 - su mondi perduti e futuri tecnologicamente avanzati. 


APOCALISSE

Collana: Le Sfingi
Prezzo: 10,00 €

Un’antologia di racconti che hanno come tema centrale l’Apocalisse. Cinque grandi maestri della letteratura latinoamericana della prima metà del Novecento a confronto. Siamo alle origini della fantascienza, un genere che darà i suoi frutti nel continente solo più tardi. Ambientazioni “da fine del mondo”, piogge infuocate, grattacieli sventrati, meteoriti che minacciano la terra e situazioni
ai limiti dell’immaginazione. Ma anche la dolcezza di un bacio, la fragilità di un istante, la magia di due corpi che si abbracciano. Strade brulicanti di gente ignara del pericolo in agguato, cieli cupi
anticipatori di disgrazie, una normalità già gravida dei turbamenti imminenti...

Il volume raccoglie i racconti La pioggia di fuoco e La luna rossa degli argentini Leopoldo Lugones e Roberto Arlt; L’ultima guerra del messicano Amado Nervo; Demoni e La fine del mondo dei brasiliani Luísio Azevedo e Joaquim Manoel de Macedo.

Camilla Cattarulla insegna Lingue e letterature ispano-americane all’Università di RomaTre. Autrice di numerose pubblicazioni, i suoi ambiti di ricerca riguardano, fra gli altri, l’emigrazione italiana in America latina, la letteratura dell’esilio e i rapporti fra letteratura e iconografia. Per la Nova Delphi Libri ha curato Racconti fatali di L. Lugones e Cucina eclettica di J. M. Gorriti.

Giorgio de Marchis insegna Letterature portoghese e brasiliana all’Università di RomaTre. È autore di numerosi saggi su autori lusofoni del XIX e del XX secolo e si è dedicato alla traduzione di opere di scrittori portoghesi, angolani e mozambicani. Dirige la rivista “Krypton. Potere, Identità, Rappresentazioni”.

domenica 4 maggio 2014

Ainda a propósito da Revolução dos Cravos: o olhar de uma italiana

fotografia: Alfredo Cunha

Laura Ferrara, amiga de Portugal de longa data, partilha com os leitores da Via dei Portoghesi as suas memórias de uma sociedade em mudança. Bem haja, Laura!

Sono arrivata in Portogallo all'inizio del 1980. Del Paese sapevo soltanto quello che mi aveva raccontato mio marito, che ci aveva lavorato nei due anni immediatamente precedenti la Rivoluzione dei Garofani; di quest'ultima, invece, sapevo qualcosa di più: da studentessa impegnata politicamente, anni prima avevo sfilato per le strade di Roma con tanti giovani entusiasti come me, portando un garofano rosso fra i capelli; festeggiavamo una vittoria della democrazia in un periodo nero che aveva visto in pochi anni la presa di potere di tanti regimi forti. 
E quindi eccomi sposa e madre in una casa circondata da un giardino, nella cittadina di Parede, conosciuta per una clinica affacciata sul mare in cui era andato a curarsi anche il mitico Pereira di Tabucchi. 
Se mi fossi trasferita sulla Luna, non mi sarei sentita più stranita: non capivo una parola di portoghese, non avevo ancora amici, e dovevo cavarmela da sola con due bambini ancora in fasce. La prima cosa a colpirmi fu il silenzio: niente sirene di autoambulanze, nessuna clacksonata improvvisa, nessuna voce con tono alterato. E poi il mangiare: pesce vivo di tutti i tipi, pesce grande dai nomi esotici e misteriosi che le donne del mercato mi incoraggiavano a comprare gridando "Garopamadame garopamadame". Mi ci è voluto un po' per capire che "garoupa" era il nome del pescione che tenevano per la coda  e la "madame" invece sarei stata io.
Allora tutte le signore straniere erano "madame" qualchecosa, ma si sa che i portoghesi hanno delle forme di cortesia elaborate e fantasiose. Quindi, un po' alla volta mi trasformai in madame Ferrara, dona Laura, minha senhora, sempre più meravigliata e sperduta in un mondo di feste, ristoranti famosi, camerieri in guanti bianchi, empregadas, jardineiros, padeiros, cozinheiras e vari personaggi ausiliari, sconosciuti nella mia realtà italiana ma apparentemente indispensabili nella nuova realtà portoghese. Non avevo la minima idea su come gestire la mia piccola corte domestica, procuratami con molta buona volontà da una signora della buona società lisbonense,  che probabilmente trovava inconcepibile che io potessi (o addirittura volessi) cavarmela da sola fra casa e bambini. 
Per prima arriva la "babà" per i miei piccoli, una donna piccola e tonda, con un viso perfetto e dei magnifici capelli neri tagliati a caschetto. Si chiama Rita,  è analfabeta e parla un portoghese impreciso e colorito; io sto peggio di lei in fatto di competenze linguistiche, perché non mi rendo conto che sto imparando ad orecchio una lingua impraticabile al di fuori del mio piccolo mondo domestico. Iniziano le schermaglie perché io insisto a chiamarla Dona Rita, visto che ha l'età per essere mia madre, e lei dice che non va bene. Ma non ci riesco proprio e subentra un regime di semi-uguaglianza, dove tutte e due siamo Dona, ma lei vive quasi nascosta dietro le porte e insiste a fare tutto, ma proprio tutto in casa. Rita ormai è vecchissima, ha qualche capelli bianco e ancora pensa ai miei figli come a "os meninos da Rita"; per noi tutti di famiglia, lei occupa degnamente il posto di una meravigliosa nonna. Oltre a Rita arriva "sor António, jardineiro", che si toglie il berretto ogni volta che mi vede e si rifiuta di accettare da me le disposizioni che riguardano il prato e le piante: prende ordini solo da "Sor Doutor": lui zappa a vanvera, perché mio marito non c'è mai durante il giorno, e alla fine si rassegna a prepararmi un orto. Due volte a settimana compare "a Dona Julia", abilissima sarta e stiratrice di fino. E poi sporadicamente appare "a Mané", cuoca mozambicana molto etnica e poco comprensibile, che produce torte esotiche e piatti speziati. Ogni mattina sento il richiamo "padeirinho à porta": fuori c'è un furgoncino bianco da cui il padeirinho (un ometto in effetti di modeste dimensioni, che di grande ha solo il sorriso), che mi porta pane fresco: "um pão saloio e duas carcaças". A volte mi porta un cesto di fichi, oppure nespole che raccoglie in giardino: non ha mai accettato un centesimo per i suoi regali. Piano piano mi abituo al nuovo ritmo, inizio a tirare fuori qualche frase senza far stringere i denti e strizzare gli occhi ai nostri conoscenti portoghesi e la sera mi siedo a vedere la novela di turno: inutile uscire prima che sia finita la puntata, visto che le strade e i ristoranti sono deserti; sono tutti incollati davanti alla televisione. Quando finisce la telenovela, si può uscire sicuri che i camerieri ci daranno un po' di attenzione. Dai ristoranti rinomati abbiamo spostato il nostro interesse sulla gastronomia della "tasca", una via di mezzo tra osteria e trattoria, dove il servizio è sempre cordiale, il mangiare fantastico, i prezzi incredibilmente bassi e l'atmosfera indubbiamente portoghese. Mi bastano due mesi per scoprire il fado; non mi bastano le note delle chitarre; devo capire cosa c'è dietro la voce di Amalia: compro dischi e ascolto la musica cercando di capire quale storia ispiri tanta passione. La sera sono stremata: i figli mi stroncano fisicamente e il fado emotivamente. 

Il primo impatto con la realtà portoghese - quella vera - l'ebbi durante un viaggio in macchina, da Lisbona verso Sagres. Ancora non esisteva l'autostrada e, dopo aver visto con meraviglia Alcácer do Sal cosparsa di nidi di cicogna, proseguimmo verso sud, verso Grandola. Poco fuori del paese fummo fermati da una lunga colonna di contadini vestiti di scuro e armati degli attrezzi del loro lavoro; a guidarli c'erano due vecchi carri armati di fattura sovietica, arrivati chissà come fino in Alentejo. C'erano tante donne, con lunghe gonne nere. Sfilavano, senzaprotestare, affinchè venisse attuata la distribuzione delle terre. Nessuno parlava, cantavano soltanto "Grandola, vila morena". E' stato allora che mi sono innamorata del Portogallo e della sua gente, fulminata dal silenzio dignitoso, dalla dicrezione e dalla riservatezza anche nella privazione e nella sofferenza. Al rientro a Lisbona, mi sono fatta raccontare la rivoluzione da chi l'aveva voluta e vissuta. Mi si è aperto davanti gli occhi un mondo completamente diverso da quello in cui credevo di vivere. Ovviamente ho chiesto a Rita e a Julia;  è   ironico adesso pensare che uno dei problemi della dittatura era che il popolo fosse ridotto a mangiare sardine e baccalà, secondo quello che mi dicevano loro. Ma il fattore scatenante non era stata solo la mancanza della libertà. C'era la questione annosa dei latifondi. La rivoluzione aveva promesso la distribuzione delle terre, i proprietari terrieri erano scappati quasi tutti in Brasile e le cose erano cambiate di poco. Mi ricordo che soltanto all'inizio degli anni '90 iniziarono a comparire personaggi con nomi altisonanti che, mentre il Paese arrancava verso la stabilità economica, avevano seguito l'esempio di João VI scappando in Brasile con tutto quello che avevano di valore. Ovviamente la mia esperienza é limitata al mio cerchio di conoscenze, ma fino ai segni di ripresa dopo l'entrata nella Comunità Europea, Lisbona e le zone circostanti si erano trasformate in colonia di lusso per i pochi fortunati che vivevano nel Giardino d'Europa. La vita era molto a buon mercato, i lussi lo erano ancora di più. 
Dal 1980 al 2005, il Portogallo - anche se a volte limitatamente al periodo estivo - è stato il Paese dove ho vissuto più a lungo.  Adesso mi sento "desterrata" e ho sempre il sogno di tornarci a vivere, di tornare a casa. 
Il mio Portogallo è fatto di fado e bagaço, è quello delle sardine all'aria aperta a giugno, delle lumache gustate sui tavolini di legno di una tasca, della carne de porco à alentejana, pataniscas, bolas de Berlim e bacalhau à Lagareiro. E i portoghesi che amo di più hanno le facce benevole di nonni buoni, vivono vicino alle piante di couve galega e mangiano caldo verde. E' un mondo che va scomparendo, se non è già scomparso del tutto, ma sono felice di averlo conosciuto.


venerdì 2 maggio 2014

A palavra ao estudante: Silvia Di Giuseppe como Nicolaj Gogol

Pedimos aos nossos alunos de encarnar um personagem à sua escolha e fazer uma apresentação na primeira do singular... A terceira a responder foi a SILVIA DI GIUSEPPE:


Chamo – me Nikolaj Vasil’evič Gogol, tenho 43 anos e sou um escritor russo.
Nasci no dia 20 de março de 1809 em Velyki Soročynci, uma aldeia no território da Ucrânia com o governo russo.
A minha família era composta por proprietários de terras, o meu pai era um escritor de comédias em língua ucraniana e a minha mãe não trabalhava, mas tinha uma personalidade forte, era uma mulher com um carácter austero e uma religiosa fervorosa. Crecsi em Vasilevka, numa propriedade do meu pai.
Primeiro estudei em Poltava e depois em Neřin e comecei a escrever quando tinha 16 anos.
Quando acabei os estudos aos 19 anos mudei-me para São Petersburgo e comecei a trabalhar como burocrata, mas continuei a escrever.
Uma das minha paixões é viajar, na verdade eu visitei muitas cidades como Hamburgo, Moscovo, Dusseldorf, Paris mas vivi sobretudo entre São Petersburgo e Roma. Além disso fui nomeado professor adjunto de história na Universidade de São Petersburgo mas infelizmente os meus estudantes diziam que as minhas aulas eram enfadonhas. Quando vivia em Roma, conheci vários escritores russos como Ivanov e Šapovalov e um poeta italiano muito famoso Giuseppe Gioacchino Belli.
Agora vivo em Moscovo, estou muito doente e não posso mais viajar, mas reconheço que a minha vida foi certamente muito interessante porque visitei muitas cidades do mundo.
Muitos críticos consideram-me um dos precursores dos Realismo Mágico, uma tradição literária onde os elementos mágicos aparecem num contexto realista.
Em algumas das minhas obras descrevo situações satíricas e grotescas com o fundo da desoladora mediocridade humana.
As minhas obras que os críticos consideram mais importante são Taras Bulba, Arabescos, Almas Mortas, O Nariz, O Capote, O Inspector Geral, O Retrato, O Diário de um Lôco, Noites na Granja ao Pé de Dikanta, Viy, Uma Terrível Vingança, Mirgorad, Avenida Nievsky. 

NICOLAJ