Ainda numa edição da revista LIMES (ver notícia naterior) de há alguns tempos atrás, a Drª Roberta Sciamplicotti publicou o interessante artigo que aqui transcrevemos e que se encontra em:
La rivincita delle ex colonie?
Il portoghese tra Lisbona e Brasilia
di Roberta Sciamplicotti
Il portoghese tra Lisbona e Brasilia
di Roberta Sciamplicotti
Una modifica ortografica della lingua lusofona punta a promuoverne la diffusione e l’uso a livello internazionale. E in Portogallo fioccano le critiche. (27/10/08)
Rafforzare il fronte lusofono e promuovere l’utilizzo del portoghese in ambito internazionale è l’obiettivo dell’Accordo Ortografico della Lingua Portoghese, la cui entrata in vigore, dopo varie vicissitudini e numerosi rinvii, è prevista per il 1° gennaio 2009 in Brasile. Il portoghese è la terza lingua occidentale più parlata dopo inglese e spagnolo: si calcola che lo utilizzino circa 230 milioni di persone, mentre altri 12 lo adottano come secondo idioma. Il fatto che ne esistano due versioni - quella brasiliana e quella luso-africana-timorense - ostacola tuttavia la sua diffusione e impedisce che abbia una proiezione adeguata al numero di quanti lo parlano. A questa problematica cerca di ovviare l’Accordo Ortografico, la cui applicazione risolverebbe circa il 98% delle differenze ortografiche esistenti tra portoghese e brasiliano.
Un aspetto delicato riguarda il fatto che la riforma modificherà il modo di scrivere l’1,6% delle parole portoghesi contro appena lo 0,45% di quelle brasiliane, il che ha fatto gridare allo scandalo più di qualcuno in Portogallo. Se da un lato è comprensibile la paura di essere “assimilati” da un paese di dimensioni considerevolmente maggiori (il Brasile ha 190 milioni di abitanti contro i 10 del Portogallo), è difficile non chiedersi quanto le reazioni contrarie all’Accordo dipendano da una resistenza mentale a quello che sembra un adattamento a una ex colonia, visto che il Brasile è stato dominio portoghese fino al 1822.
I tentativi di uniformare le due versioni linguistiche si sono susseguiti fin dall’inizio del XX secolo. Dopo varie proposte rimaste più o meno sulla carta, nel 1990 i rappresentanti di Angola, Brasile, Capo Verde, Guinea Bissau, Mozambico, Portogallo e São Tomé e Príncipe hanno firmato l’Accordo Ortografico della Lingua Portoghese, al quale nel 2004 ha aderito anche Timor Est. L’obiettivo era quello di creare un’ortografia unificata per i Paesi ufficialmente lusofoni, ma il provvedimento non è entrato in vigore perché non è stato ratificato da tutti gli Stati, condizione prevista per la sua applicabilità.
Un Protocollo Modificativo dell’Accordo Ortografico è stato firmato a Capo Verde nel 1998, eliminando dal testo originale la data prevista per l’entrata in vigore del documento – il 1° gennaio 1994 – ma mantenendo la necessità della ratifica da parte di tutti i paesi lusofoni. Come nel caso precedente, hanno approvato il provvedimento solo Portogallo, Brasile e Capo Verde.
Nel 2004 è stato firmato il Secondo Protocollo Modificativo, che oltre a permettere l’adesione timorense ha previsto che fosse sufficiente la ratifica di tre paesi perché l’Accordo entrasse in vigore. Nonostante l’approvazione di Brasile, Capo Verde e São Tomé e Príncipe e quindi la possibilità che il provvedimento fosse già applicabile, si è deciso di attendere l’adesione del Portogallo. Il 16 maggio scorso è giunta la ratifica dell’Assemblea della Repubblica portoghese, seguita dalla promulgazione del testo da parte del Capo dello Stato, Aníbal Cavaco Silva, il 21 luglio.
Se in Brasile l’Accordo entrerà in vigore all’inizio del prossimo anno, con un periodo di transizione triennale nel quale varranno sia le norme attuali che quelle derivate dalla riforma, in Portogallo è previsto un adeguamento nell’arco di 6 anni, mancando una data precisa per l’inizio della validità del provvedimento. Con la riforma ortografica, l’alfabeto portoghese passerà da 23 a 26 lettere, includendo “k”, “w” e “y”. In Brasile le modifiche riguarderanno soprattutto l’accentazione delle parole, nel mondo luso-africano-timorense più l’eliminazione delle consonanti chiamate mute (che non si pronunciano pur essendo scritte, come nella parola óptimo, che verrà modificata in ótimo). Nonostante questi cambiamenti, ogni Paese manterrà la pronuncia che lo caratterizza.
Le modifiche introdotte dall’Accordo Ortografico hanno suscitato reazioni contrastanti. I sostenitori del provvedimento sottolineano principalmente l’enorme costo attuale derivante dalla produzione di testi diversi per il mercato luso-africano-timorense e per quello brasiliano, che se da un lato è dovuto a differenze di sintassi, vocabolario e usi linguistici, dipende anche dalla diversa ortografia. Ciò, affermano, fa sì che il portoghese rimanga tra le lingue scarsamente diffuse e conosciute, nonostante sia parlato da molti e in vari paesi. Allo stesso modo, sostengono che l’unificazione del portoghese ne faciliterà l’utilizzo nei documenti internazionali di istituzioni come le Nazioni Unite, di cui potrebbe diventare una delle lingue ufficiali.
Dal canto loro, i critici snocciolano una lunga serie di obiezioni, presentando le differenze ortografiche come un “non-problema”, giacché tutti i lusofoni sono in grado di capire le varie forme scritte di portoghese visto che le maggiori complicazioni derivano dal modo di parlare, su cui l’Accordo non vuole andare peraltro a influire. Molte parole, tra l’altro, continueranno a presentare varianti ortografiche, motivo per cui la riforma viene ritenuta insufficiente e limitata.
Tra le difficoltà sottolineate figurano anche l’adattamento di tutto il corpus letterario già esistente, la necessità di sostituire dizionari, grammatiche e libri scolastici divenuti rapidamente obsoleti e l’opera di “ri-apprendimento” di gran parte della popolazione. Gli editori portoghesi temono inoltre che le modifiche favoriscano le imprese brasiliane e la loro affermazione sui mercati africani, finora monopolio del Portogallo. Dal punto di vista internazionale, i critici sostengono che l’unificazione ortografica non porterà necessariamente a un rafforzamento dell’area lusofona, visto che l’inglese non ha un’ortografia ufficiale e presenta variazioni - grafiche e non - nei Paesi in cui è parlato e nonostante questo è la lingua principale a livello mondiale, oltre al fatto di avere una flessibilità che gli permette di assorbire ogni anno una notevole quantità di nuovi termini.
Le resistenze mentali vengono esplicitate nella paura di un “imbrasilimento” della lingua portoghese, definita dal deputato Mota Soares “il più grande patrimonio che il Portogallo ha nel mondo”, così come nel pericolo paventato che le conseguenze della riforma farebbero del Brasile il leader geopolitico del fronte lusofono, a scapito dello spazio d’azione del Portogallo. Contro l’Accordo Ortografico è stato anche predisposto un Manifesto - che definisce il progetto “Disaccordo Ortografico” -, che ha portato alla consegna al Presidente della Repubblica portoghese, il 2 giugno scorso, di più di 45.000 firme di persone contrarie alla sua implementazione. Un “frankenstein linguistico”, per usare le parole di Josué Machado della Revista Língua Portuguesa, è quindi come appare agli occhi di molti la riforma ortografica, alla quale, tra l’altro, dopo tanto rimandare nessuno sembrava preparato.
Il lungo periodo sembra essere l’unico che potrà dar ragione all’Accordo, che nei primi anni di implementazione porterà senz’altro a una serie di problemi di adattamento. Di fronte a questo, le difficoltà potranno essere superate solo guardando all’obiettivo finale, il rafforzamento di un blocco spesso trascurato ma al cui interno sta emergendo una potenza, quella brasiliana, che potrebbe avere una voce sempre più importante a livello internazionale. Quanto al Portogallo, non deve temere che questo o altri provvedimenti possano far dimenticare il suo glorioso passato, e forse trarrà dall’Accordo l’impulso per un nuovo futuro. Perché ciò accada, tuttavia, dovrà accettare quanto affermato dallo scrittore brasiliano Evanildo Bechara: “A differenza dei Brasiliani, i Portoghesi si preoccupano della lingua perché si ritengono padroni. In realtà siamo condomini”.
Roberta Sciamplicotti
Nessun commento:
Posta un commento