martedì 31 luglio 2012

Barbara Abbadessa - um mês em Lisboa

Há algum tempo atrás a nossa aluna Barbara Abbadessa escreveu-nos a contar da sua experiência em Lisboa, como estudante do curso intensivo de Português na Universidade de Lisboa. Com a sua autorização aqui publicamos o relato e desejamos-lhe bom regresso e ótimas férias!


La città l'ho trovata un'altra volta fantastica, se possibile ancora meglio di come me la ricordavo. Sarà che ora ho più consapevolezza delle strade e di tutti, o quasi, i quartieri principali della città, ma non è stato per nulla difficile adattarsi. E' a mio parere una delle città più ospitali ed accoglienti d'Europa.
 
Il corso sta andando bene, penso che sia proprio quello più adatto a me. Sto rivedendo un po' le parti grammaticali, in special modo il tanto temuto futuro del congiuntivo.
 
Il mio professore è Pedro Dinis Correia, è davvero un ottimo professore. Sia per quanto riguarda i compagni di corso (di tutte le nazionalità, il che è ancora meglio visto i nostri a-volte-non-così-tanto-fallimentari-tentativi di parlare portoghese anche tra di noi) sia per il docente, sono stata davvero fortunata!
 
A breve dovrò già tornare in Italia, un mese è volato... Questa è davvero un'esperienza magnifica.
 
BARBARA ABBADESSA

PS: Sentia um pouco a falta da minha 'alcunha' BARBARINHA... Aqui o professor chama-me carinhosamente de Bárbara Guimarães, que acho verdadeiramente engraçado: creio que é uma maneira para me dizer que estou a melhorar...ou, pelo menos, espero que seja assim! (O professor Pedro disse-nos que em alguns casos restritos podemos também dizer “ creio/penso/acho... que seja”, mas sendo que é muito fácil cair em erro com estes pormenores, prefiro não o utilizar ainda).

Stefano Valente traduz Rodrigues Miguéis

Mais uma esplêndida tradução de STEFANO VALENTE publicada no blog IL SOGNO DEL MINOTAURO: http://sognodelminotauro.blogspot.it/2012/07/riso-del-cielo-jose-rodrigues-migueis.html

Parabéns, Stefano!

Riso del cielo — José Rodrigues Migueis


Lungo i marciapiedi di New York, al di sopra delle stazioni e delle gallerie della subway, si aprono grandi sfiatatoi con grate attraverso i quali cade di tutto: il sole e la pioggia, il chiaro di luna e la neve, guanti, occhiali e bottoni, carte, chewing gum, tacchi di scarpe da donna che restano impigliati, e persino soldi. Talvolta, laggiù in fondo, nell’immondizia che si accumula o in pozze d’acqua stagna, brillano monete di nichel e addirittura d’argento. I ragazzi s’inginocchiano col naso incollato alle grate, cercando di arraffare tesori nell’oscurità da cui spira un alito umido e oleoso e l’odore dei freni bruciati. Compiono prodigi d’abilità e tenacia per pescare le monete perdute. Alcuni hanno successo, ma poi si azzuffano in dispute tremende per il possesso e la spartizione del tesoro: non si riesce mai a sapere chi l’ha visto per primo.
Altri, quando la raccolta promette bene, arrivano a rischiare nell’operazione una certa somma: mettono insieme ciò che hanno, ed entrano in due, è quanto basta, nel metrò; una volta là dentro, si arrampicano a mo’ di rettili per gli sfiatatoi, che è una difficile manovra d’acrobazia, per raccogliere quel denaro-di-nessuno, mentre uno o più compagni che stanno a far la guardia li guidano da fuori. Ci sono anche quelli che entrano senza pagare, tra le gambe degli utenti e accucciandosi sotto i tornelli.
Lo spazzino lavorava da molti anni nel metrò, sempre con gli occhi al suolo. Una talpa, un topo delle condutture. Infilzava carte sulla punta di un bastone con una punta all’estremità, e li metteva nel sacco. Spazzava milioni di cicche, per la maggior parte quasi intatte, di fumatori impazienti, grattava dalle piattaforme il chewing gum odioso, puliva i gabinetti, spargeva disinfettanti, aiutava a mettere il grasso sui binari, spolverava le vie d’una polvere bianca e misteriosa, e tutte le volte che il collega con la lanterna sprigionava un fischio stridulo – ecco il treno! – lui si rannicchiava contro la parete nera, dove scorrevano le acque d’infiltrazione, nello stretto passaggio di servizio. Gli era persino già capitato di raccogliere pezzi di cadavere, di gente che si gettava sotto i treni, e di trasportare i corpi esanimi di vecchi che improvvisamente si ricordavano di morire d’infarto, nelle ore di massimo affollamento, gli uni e gli altri sconvolgendo gli orari e provocando la curiosità casuale e momentanea dei passeggeri frettolosi. Sempre con gli occhi fissi al suolo, goffo e taciturno, come chi non spera niente dall’Alto, e infatti non sperava. La sua vita dipendeva tutta dal suolo immondo e viscoso. Nemmeno guardava il livido chiarore che scivolava giù dagli sfiatatoi verso il nerume interno, dove tremolavano lampade elettriche, tra i pilastri innumerevoli di quella foresta sotterranea metallizzata: non gli avevano mai ordinato di pulirli. Erano probabilmente il dominio esclusivo degli operai specializzati, iscritti a un altro sindacato, che lui non conosceva. Forse neanche sapeva che esistessero gli sfiatatoi. Era straniero, immigrato, come tanta altra gente, non aveva scherzato né bighellonato nella voragine avviluppante delle strade della grande città, e viveva perfettamente rassegnato alla sua oscurità. Quel lavoro lo doveva a un collega che era membro di un circolo dove comandavano pezzi grossi, ma lui di politica non capiva niente, e neppure faceva domande. Poiché era nato in Lituania, o forse in Estonia, parlava soltanto a monosillabi, e, sotto la patina unta e nera che l’aria del metrò, col tempo, aveva stampato sul suo viso, questo era diventato incolore, di una razza indistinguibile. Prima di lì aveva lavorato in scavi, una «talpa». Questo lavoro era molto migliore, nonostante fosse sotterraneo. E non doveva parlare l’inglese, che capiva appena.
Ora, all’angolo di una strada, nell’Uptown, c’è una chiesa, quella di San Giovanni Battista e del Santissimo Sacramento; per tutta l’estensione della sua facciata barocca e grigia, gli sfiatatoi del metrò formano una lunga piattaforma d’acciaio merlettato. Lì i matrimoni sono frequenti, perché la parrocchia è chic e la chiesa imponente. Il riso piove a secchiate sugli sposi, all’uscita dalla cerimonia, in un grande spreco d’allegria. Metà di quello sparisce subito attraverso le griglie degli sfiatatoi, il resto rimane sparso sui riquadri di cemento del marciapiede. Dopo i matrimoni, il sacrestano o portiere della chiesa, con la sigaretta all’angolo della bocca, spazza via il riso dentro le grate, per comodità. Probabilmente è irlandese, il riso non gli interessa, né gli interessano i piccioni: i piccioni sono roba da italiani, che, nonostante si professino cattolici, sono una specie di pagani. Quello che si è sparso sul pavimento della strada, là rimane: ci penseranno gli spazzini comunali.
C’è uno sposalizio un giorno sì e l’altro pure, soprattutto nella bella stagione, o la domenica. È uno scialo di riso, non so da dove venga quest’usanza: forse è un’offerta votiva d’abbondanza, o un simbolo del «crescete e moltiplicatevi» (come chicchi di riso). La gente si ferma a guardare, e le viene di domandare: «A quanto sta oggi il riso di prima scelta qui in paese?».
Quella pioggia di chicchi attraversa le grate, scivola giù lungo il piano inclinato dello sfiatatoio, e, se non si attacca al sudiciume appiccicoso o al chewing gum (il quartiere è poco avvezzo a masticar gomme), risalta su dentro il metrò, in uno stretto passaggio interdetto ai passeggeri.
La prima volta che vide quel riso sparso al suolo, e sentì i chicchi a crepitargli sotto gli stivali, lo spazzino non ci fece caso; li scopò via col resto dei rifiuti dentro il sacco cilindrico, quello con l’imboccatura a pinza. Tuttavia, poiché adesso passava di là con più frequenza, notò che la cosa si ripeteva. Il riso pulito e lucido brillava come le perle di mille collane sciolte nell’oscurità della galleria. L’uomo meditò: da dove veniva tanto riso? Incuriosito, alzò gli occhi per la prima volta verso l’Alto, e avvistò la vaga luce da galera che scorreva dalla parete. Ma lo sfiatatoio, capitemi bene, si torceva come una canna fumaria, e la grata, proprio quella, non gli era visibile dall’interno. Era da là, di sicuro, che cadeva il riso, come pure le monete, la polvere, l’acqua della pioggia e tutto il resto. Lo spazzino si raccolse nelle spalle, senza capire. Ignorava i riti e le raffinatezze. Al suo matrimonio non c’era stato riso di nessuna qualità, né crudo, né in budino, né in brodo di gallina.
Finché un giorno, dopo dato un occhio in giro se ci fosse stato qualcuno a spiarlo, si chinò, radunò i chicchi in un mucchietto, e con quelli si riempì una tasca della tuta da lavoro. Arrivato a casa, la moglie incrociò le mani dalla sorpresa: candido, carnaroli, di prima qualità! Giorni dopo, sempre solo solo, spazzò il riso dentro un cartoccio che aveva raccolto da un cestino dei rifiuti della stazione, e lo portò a casa. Poveri, quella dovizia di riso gli riempiva la pancia, a lui, alla signora e ai sei o sette figli. Lei si abituò alla cosa, e a volte gli diceva: «Guarda un po’ se c’è riso oggi, quello che tenevamo in casa c’è finito». Fiduciosa in quell’espediente per campare!
Lo spazzino non si domandò mai da dove piovesse tanto bendidio, soprattutto nella bella stagione, d’estate, e di domenica, al punto che sembrava addirittura una raccolta con scadenza regolare. Lo avvolgeva in un giornale o lo metteva in un cartoccio, e così lo portava alla famiglia. Ignorando che lassù c’era la chiesa di San Giovanni Battista e del Santissimo Sacramento, e, come tale, d’alta classe, non sapeva a cosa far dipendere il fenomeno. Dalla parte della radice, nel metrò, i palazzi, le casine e i templi non si distinguono.
E fu così che quella pioggia benefica, di riso brillato, carnaroli, di prima qualità, finì per dargli la nozione concreta di una Provvidenza. Il riso veniva dal Cielo, come la pioggia, la neve, il sole e i raggi. Dio, lassù nell’Alto, pensava allo spazzino, così povero e taciturno, e gli mandava quella manna per riempire la pancia dei suoi figli. Senza che lui avesse chiesto nulla. Mantenne il segreto – non è buona cosa raccontare i prodigi con i quali la grazia divina ci favorisce. Si rassegnò a essere oggetto della volontà misericordiosa del signore. Ed iniziò a pregarlo con ardore, di notte, cosa che non aveva fatto mai: mentre era disteso accanto a sua moglie. Riso del Cielo…
Il Cielo dello spazzino è la strada che gli altri calpestano.


José Rodrigues Migueis (1901-1980), Arroz do Céu, 1962

(Tradotto da Gente da Terceira Classe, Lisboa, Editorial Estúdios Cor, 1971)

STEFANO VALENTE

Grande sucesso Mangani-Donegà em Lisboa

Os artistas com o proprietário da livraria FABULA URBIS, João Pimentel, no fim do espetáculo.

Grande sucesso, de público e de atuação, no passado sábado em Lisboa: Isabella Mangani cantou, acompanhada à viola por Stefano Donegà, canções de um repertório essencialmente napolitano, brindando os ouvintes com um bis de fado: Amor de Mel, Amor de Fel.

As canções eram intervaladas por introduções, num português perfeito, em que a Mangani explicava um pouco desse longo e rico per-curso, que ia de meados do século XV até aos recentíssimos temas do grupo Acustimantico.

Muitos parabéns a Stefano Donegà e a Isabella Mangani!

venerdì 20 luglio 2012

La Mangani canta a Lisbona con Donegà

Sabato, 28 luglio 2012
liberiria FABULA URBIS
Lisbona




Sábado, 28 Julho ,21h30
RECITAL EX-CURSUS

Isabella Mangani, voz
Stefano Donegà, guitarra

Excurso significa, como a sua matriz etimológica latina excursus, uma excursão, uma divagação do caminho principal.
O hífen no título é um pequeno trocadilho, pois a oportunidade deste concerto nasce mesmo "de um curso" universitário que a cantora está a tirar em Lisboa. Ofereceremos músicas e canções italianas, desde o século XV até hoje, cantadas em italiano e em vários dialectos do sul da Itália.
Isabella Mangani é tradutora e cantora. Começou a fazer as duas coisas em privado, enquanto ainda morava na sua cidade natal, Nápoles. Como alguém dissesse que tinhajeito para ambas, aos 18 anos mudou-se para Forlì, onde frequentou uma prestigiada faculdade de traduçãoe começou a ter aulas de canto.
Em dezasseis anos passou por vários coros (Voyager Gospel Choir, dir. Marco Calcinelli, Coro da Universidade Nova de Lisboa, dir. João Valeriano, Coro de cantos de tradição oral, dir. Lucilla Galeazzi e, actualmente, Dekoro- nb non solo gospel, dir. Bruno Corazza), considerando que cantar em conjunto com outras pessoas é enriquecedor pela alma e pela própria educação musical.
Foi, durante três anos, uma das duas vozes do grupo de música popular Musicimigranti e, no mesmo período, uma das vozes do grupo Fado entre rios, que nasceu de uma ideia do jornalista e professor italiano Carlo Giacobbe e pretendia difundir o fado na Itália.
Desde 2008 que canta em duo com o guitarrista Stefano Donegà e no grupo La 'Ntisa Stesa, quarteto/sexteto cujo repertório varia da música erudita do século XV à música de tradição oral, principalmente italiana mas não só.
Desde 2011 este grupo é residente da peça Il viaggio del brigante (A viagem do brigante), de Antonio Lanera, que continua a apresentar-se em vários teatros italianos.
 
Stefano Donegà, guitarrista e cantor com mais de trinta anos de carreira musical, tendo participado em inúmeras produções com artistas como Ambrogio Sparagna e Lucilla Galeazzi. Violista do grupo La 'Ntisa Stesa, toca também, desde há quatro anos, em duo com a cantora  Isabella Mangani. Interessa-se pela música popular e erudita.
 

mercoledì 18 luglio 2012

Isabella Mangani - Diário de Lisboa (3)

A nossa aluna, amiga e colaboradora Isabella Mangani está em Lisboa. Da capital à beira Tejo propõe-se enviar, com a regularidade possível, para os leitores de Via dei Portoghesi, um relato da sua viagem...
Boa leitura!

–Não gosto dela.

– Mas é boa!

É só um exemplo dos diálogos que se podem intercetar no Largo da Severa durante as visitas cantadas gratuitas organizadas pela associação Renovar a Mouraria todos os fins de semana até setembro.  Já tive a oportunidade de ouvir – acompanhados por conjuntos diferentes – Gisela João, Jaime Dias e Ana Sofia Varela (nome que deve ser familiar aos lusófilos romanos, uma vez que se estreou na Noite de Fado de 2007 no Instituto de Santo António, a primeira a que assisti, quando este blog nem sequer existia!).

Sempre que a cantora (ou aliás, cantadeira, que parece ainda não ter entrado em desuso para indicar especificamente as cantoras de fado) ouve “Olh’a fadista!” é um bom sinal. Ótimo. Regra geral, isto acontece pouco antes dela terminar a canção, assim como as salvas de palmas começam enquanto ainda está a estilar.

“Outro, outro!” ou “Mais um! Mais um!” são as incitações para que os músicos continuem a deliciar a plateia ao invés de terminarem para que o grupo possa continuar a visita do bairro.

“E lembre-se de que a Severa nasceu aqui na Mouraria! O que é esta asneira de que nasceu na Madragoa?! A Severa era daqui, assim como o Fernando Maurício e a Argentina Santos!” é o que ouvi gritar apaixonadamente por uma senhora que não queria deixar que o nosso guia terminasse a sua tarefa. Por falar nisso, a primeira afirmação da senhora é falsa e as duas últimas verdadeiras.

“A Mariza começou aqui na Mouraria, os pais dela tinham uma tasca mesmo aqui perto. E a outra também, como se chama...”  Sim, porque o fado é bairrista, e os moradores do bairro também são!

Finalmente, “Oi, veio p’ra a praia… está toda nuazinha…” é, pois claro, uma das frases que podem sair bondosamente da boca dos prezados senhores (e que, neste caso, se referia às costas da cantora, coitada).

Para terminar com uma (agora já habitual!) referência à magia deste lugar, só falta isso: há alguns dias decidi por acaso de voltar a uma excelente tasquinha que tinha experimentado na semana anterior, assim, porque queria comer uma boa dourada grelhada (a própria lembrança faz me ficar com água na boca e esta semana vou lá voltar, com certeza). Sento-me, levanto os olhos e vejo... o guitarrista Ricardo Parreira! Não me lembrava do seu nome mas reconheci logo a cara e ao fim do jantar tive a coragem de o cumprimentar, depois vi que à sua mesa estava também o violista (e cantor) Ricardo Oliveira e outro músico que infelizmente ainda nunca ouvi tocar. Tudo isto é fado, meus amigos.

PS: Na fotografia, os “sapatos namorados” de Gisela João.

****

–Non mi piace.

– Ma è brava!

Questo è soltanto un esempio degli scambi che si possono ascoltare nel Largo da Severa, durante le visite cantate gratuite organizzate dall’associazione Renovar a Mouraria tutti i fine settimana fino a settembre.  Sono già riuscita ad ascoltare – accompagnati da musicisti diversi – Gisela João, Jaime Dias e Ana Sofia Varela (che dovrebbe accendere una lampadina nella mente dei lusofili romani, visto che è stata la protagonista della Noite de Fado del 2007, la prima volta per me, quando questo blog non esisteva neppure!).

Quando la cantante (o cantadeira, termine che non sembra essere ancora andato in disuso per indicare proprio una cantante di fado) sente “Olh’a fadista!” è un buon segnale. Ottimo. Lo renderei alla romana “Anvedi che fadista!”. Solitamente succede poco prima che finisca la canzone, così come gli applausi iniziano mentre sta ancora facendo l’ultima infiorettatura.

“Outro, outro!” o “Mais um! Mais um!” (Un altro! Ancora uno!) sono le incitazioni del quartiere affinché si continui a deliziare il pubblico invece di smettere affinché il gruppo continui la visita del quartiere.

“E si ricordi che la Severa è nata qui nella Mouraria! Che diamine dice, che è nata nella Madragoa?! La Severa era di qua, come Fernando Maurício e Argentina Santos!” è quello che ho sentito gridare con molta passione a una signora che non voleva lasciar lavorare la nostra guida. Già che ci siamo, la prima affermazione è falsa e ultime due vere J, e la Severa è il primo mito del fado.

“Mariza ha cominciato qui nella Mouraria, i genitori avevano un ristorantino qua vicino. E pure quell’altra, come si chiama...”  Sì, perché se il fado è "bairrista” (campanilista, ma riferito specificamente a un quartiere) gli abitanti del quartiere (bairro) lo sono altrettanto!

Infine, “Guarda là, pare che sta sulla spiaggia… tutta scoperta…” è, ovviamente, una delle frasi che possono uscire bonariamente dalla bocca dei gentili signori (e che, in questo caso, si riferiva alla schiena della povera cantante).

Per finire con un (ormai solito!) riferimento alla magia di questo posto, manca soltanto questo: qualche giorno fa o deciso per caso di tornare in un eccellente ristorantino dove ero stata la settimana precedente, così, perché volevo mangiare una buona orata alla griglia (al solo pensiero mi torna l’acquolina e questa settimana ci torno di sicuro). Mi siedo, alzo gli occhi e vedo... il suonatore di chitarra portoghese Ricardo Parreira! Non mi ricordavo il nome ma l‘ho riconosciuto subito e alla fine della cena ho avuto il coraggio di andare a fargli i complimenti, per poi vedere che al suo tavolo c’erano anche il chitarrista (e cantante) Ricardo Oliveira e un altro musicista che non ho ancora sentito suonare. “Tudo isto é fado”, amici miei. Tutto questo è fatum!

PS: Nella foto, le “scarpette innamorate” di Gisela João.

ISABELLA MANGANI

giovedì 12 luglio 2012

Nadir Afonso a Villa Borghese - Luglio, Agosto, Settembre 2012

Nadir Afonso. Architetto, pittore e collezionista



Promossa dalla Fondazione Nadir Afonso, la mostra presenta l’opera di uno tra i maggiori artisti portoghesi del XX secolo.

9/07 - 30/09/2012

http://www.embportroma.it/exposi-o-de-nadir-afonso-18-de-julho-2/

http://www.museocarlobilotti.it/



Architetto, pittore e collezionista, la mostra romana vuole porre l’attenzione sull’attività di collezionista di Nadir Afonso, esponendo anche opere degli amici artisti con i quali ha lavorato. Tra questi Pablo Picasso, Max Ernst, Candido Portinari, Giorgio de Chirico, Max Jacob, Fernand Legér. La mostra ricostruisce, intorno alla figura di Afonso quale artista amico degli artisti, quel periodo storico che è il secondo Novecento, momento in cui la confluenza tra i generi e lo scambio intellettuale è certamente il motore di una rinnovata vitalità dell’arte. Le opere scelte, legate al clima barocco della città e alla poetica metafisica, intendono approfondire la lezione dechirichiana che ha molto influenzato l’espressionismo dell’artista.


L’occasione per rendere omaggio a questo artista, alla sua opera e alle sue frequentazioni culturali, prende corpo due anni fa per volontà della Fondazione, istituita dall’artista stesso, per celebrare i suoi novant’anni con una serie di mostre a livello internazionale. Dopo Parigi, Rio de Janeiro e Lisbona, Roma rende omaggio a questo poliedrico artista. Seguirà, a Venezia, una seconda mostra italiana che, in occasione della Biennale Architettura, metterà in risalto la figura di Nadir Afonso quale architetto e artista, e la sua collaborazione con due grandi architetti: Le Corbusier e Oscar Niemeyer.



Con il Patrocinio di Repubblica del Portogallo e della Fondazione Nadir Afonso


Exposição de NADIR AFONSO
Quarta-feira 18 de Julho às 19h00
Museo Carlo Bilotti
Aranciera di Villa Borghese
http://www.embportroma.it/exposi-o-de-nadir-afonso-18-de-julho-2/
http://www.museocarlobilotti.it/

mercoledì 11 luglio 2012

Isabella Mangani - Diário de Lisboa (2)

A nossa aluna, amiga e colaboradora Isabella Mangani está em Lisboa. Da capital à beira Tejo propõe-se enviar, com a regularidade possível, para os leitores de Via dei Portoghesi, um relato da sua viagem...
Boa leitura!


É mesmo de estranhar como esta cidade me proporcione oportunidades a cada esquina e pareça saber o que eu preciso. Na semana passada tive a sorte de conhecer pessoas excecionais, algumas por trás de uma escrivaninha e outras mais de perto, mas todas relacionadas com aspectos da vida mais crus do  aqueles que se costumam aprofundar de férias num País estrangeiro. Mas é isso mesmo, eu não estou de férias. Estou a tirar um curso, sim, mas sobretudo vim cá com a sensação de regressar a pessoas e lugares queridos, e com a vontade de enlaçar e re-enlaçar relações. Conhecer a sombra permite apreciar a luz. E às vezes o sol é forte demais, e gosta-se de ficar na sombra por algum tempo.
Um dia fui com a minha colega Mónica (obrigada por me ter convidado!) ao lançamento do livro "As Prisioneiras — Mães atrás das grades", de Isabel Nery (ed. Livros de Seda). Esta valente jornalista, que escreve artigos e reportagens para a revista Visão e várias outras, acaba de publicar o seu primeiro livro. Para essa empresa escolheu um tema nada fácil de enfrentar: o das mães que são detidas e das suas crianças. Mas Isabel Nery não é uma estreante no que diz respeito aos assuntos embaraçosos: de facto, já publicara artigos sobre o cancro e fez uma exposição que teve muito êxito, juntamente com o fotógrafo Marcos Borga, titulada “Vida interrompida”, descrevendo com textos e fotografías o mundo da perspetiva horizontal das pessoas hospitalizadas, que de repente se veem catapultadas numa posição de grande vulnerabilidade. O livro “As Prisioneiras” examina a situação das vítimas da reclusão das mães: os seus filhos. Quer eles tenham de ficar com elas na cadeia, quer tenham de ficar com avós, vizinhos ou até em institutos, os filhos das prisioneiras são sempre quem mais paga. Muito emocionante foi a dramatização da atriz Maria Almeida, que se levantou do meio do público para contar em primeira pessoa a história duma daquelas mães e da sua filha, que antes sofrera pelos seus crimes relacionados com drogas e depois pela sua ausência devida à reclusão. No fundo, o filhote mais novo teve mais sorte, pois nasceu na cadeia e pôde crescer com a mãe numa situação mais equilibrada. Das palavras da autora, conseguiu-se perceber o envolvimento, a paixão e a capacidade de pesquisa desta mulher, que acabou com este trabalho editorial que esperamos seja o primeiro de muitos.
No dia seguinte, graças a outro convite (do qual fiquei mesmo honrada), conheci um grupo de mulheres corajosas, lindas e acolhedoras, que há mais de vinte anos se ajudam mutualmente e ajudam seja quem for que lhes peça auxílio. Quanta força em tanta humildade, quanto amor naquela firmeza!
********
A volte mi soprende notare quanto questa città mi offra opportunità a ogni angolo e sembri sapere di cosa ho bisogno. La settimana scorsa ho avuto la fortuna di conoscere persone eccezionali, alcune dietro una cattedra e altre più da vicino, ma tutte avevano a che fare con aspetti della vita più crudi di quelli che si è soliti approfondire quando si va in vacanza in un paese straniero. Ma è questo il punto, io non sono in vacanza. Sì, sto seguendo un corso, ma soprattutto sono venuta qui con la sensazione di tornare a luoghi e persone amati, e con il desiderio di allacciare e riallacciare rapporti. Conoscere l’ombra consente di apprezzare la luca. E poi a volte il sole è troppo forte, e restare all’ombra per un po’ è piacevole.
Un giorno sono stata con la mia compagna Mónica (grazie per avermi invitato!) alla presentazione del libro "As Prisioneiras — Mães atrás das grades" (Le detenute - Madri dietro le sbarre), di Isabel Nery (ed. Livros de Seda). Questa coraggiosa giornalista, che scrive articoli e reportage per la rivista Visão e per varie altre, ha appena pubblicato il suo primo libro. Per questa impresa ha scelto un tema non facile, quello delle madri detenute e dei loro figli. C’è da dire che la Nery non è nuova agli argomenti difficili: ha infatti già pubblicato articoli sul cancro e organizzato una mostra (che ha avuto molto successo) insieme al fotografo Marcos Borga intitolata “Vida interrompida” (vita interrotta), descrivendo con testi e foto il mondo dalla prospettiva orizzontale dei malati ospedalizzati, che d’improvviso si vedono catapultati in una posizione di grande vulnerabilità. Il libro “As Prisioneiras” analizza la situazione delle vittime della reclusione delle donne : i loro figli. Che debbano restare con loro in prigione oppure vengano affidati a nonni, vicini o istituti, quelli che pagano il prezzo più alto sono sempre i figli delle detenute. Molto emozionante è stata la drammatizzazione a opera dell’attrice Maria Almeida, che si è alzata dal pubblico per raccontare in prima persiona la storia di una di quelle madri e di sua figlia, che dopo aver sofferto per i crimini commessi dalla madre per droga ha sofferto per la sua assenza dotuva al lungo periodo di detenzione. Alla fin fine il figlio più piccolo può dirsi più fortunato, perché è nato in prigione ed è potuto crescere insieme alla madre in una situazione più equilibrata. Le parole dell’autrice, poi, hanno comunicato il coinvolgimento, la passione e la capacità di ricerca di questa donna in questa fatica editoriale che speriamo sia la prima di molte altre.
Il giorno dopo, grazie a un altro invito (che mi ha davvero onorato), ho conosciuto un gruppo di donne coraggiose, belle e accoglienti, che da più di vent’anni si aiutano reciprocamente e aiutano chiunque chieda un sostegno. Quanta forza in tanta umiltà, quanto amore in quella fermezza!

ISABELLA MANGANI

lunedì 9 luglio 2012

17 luglio - CUSTODIO CASTELO E CRISTINA MARIA all’Ambasciata del Portogallo


Inserida no Festival  “7 Sóis 7 Luas”, a actuação de Custódia Satelo e Cristina Maria nos jardins da Villa Barberini (via Zandonai), a convite de S. E. o Embaixador de Portugal junto do Estado italiano, Dr. Manuel Lobo Antunes.
Agradecemos a assinalação à nossa leitora e amiga FEDERICA FORTE.



Custodio Castelo è unanimemente considerato uno dei più

grandi solisti al mondo di chitarra portoghese e il vero erede del

grande Carlos Paredes. Ospite fisso dei più grandi nomi del fado

portoghese: Jorge Fernando, Camané, Maria Da Fé, Argentina

Santos, Cristina Branco, Misia e, nella sua ultima tournée europea,

Amalia Rodrigues. Collabora anche con musicisti del calibro

di Richard Galliano, Olga Pratz, Carmen Linares. Ultimamente

è stato chiamato da Tim Ries con Ana Moura e Jorge Fernando

a partecipare al secondo volume di The Rolling Stone Project.

Cristina Maria è una delle migliori fadiste portoghesi della nuova

generazione con una doppia identità: è cantante, ma anche una

scultrice di grande talento. La sua voce è riconoscibile per la sua

dolcezza, per il timbro particolare, pieno di sentimento.



VER outras iniciativas do festival “7 Sóis 7 Luas 2012” em Roma:

giovedì 5 luglio 2012

"Io sono favela" - tradução de Matilde Maini

Io sono favela - racconti della letteratura brasiliana marginale contemporanea


La casa editrice francese Anacaona pubblicherà in ottobre la  traduzione italiana di Matlde Maini di un volume di racconti di scrittori della letteratura contemporanea marginale brasiliana, tra cui Carrascoza, Ferréz, Marçal Aquino e altri. Il volume si intitolerà Io sono favela. La traduzione francese è già uscita nel 2011, con il titolo Je suis favela.

I racconti di questo volume vogliono dare voce a quella parte della popolazione che in Brasile non è rappresentata culturalmente e socialmente; è quindi una letteratura della strada che si esprime contro l'esclusione e la massificazione ma che si allontana anche dai modelli di una certa letteratura della favela, basata unicamente sulla spettacolarizzazione della violenza.

Anacaona éditions è una casa editrice indipendente fondata su una distribuzione autonoma, fatta soprattutto su Internet (www.anacaona.fr). Gli autori stessi della raccolta Io sono favela si sono riuniti in un sistema associativo, la Cooperifa, e rifiutano volontariamente di entrare nei circuiti della grande distribuzione.

Voar com Maria Leal da Costa

A escultora Maria Leal da Costa, cuja obra foi recentemente apresentada em Roma, na galeria do Instituto Português de Santo António, lança em Lisboa o livro Voar, de que é uma dos autores.
Muitos parabéns!


“Voar/Skristi/Fly''
Maria Leal da Costa/ Nuno Guimarães/João Frazão
Escultura/Poemas/Fotografia
Sculpture/Poems/Fotographs
Sexta-feira, 6 de Julho, às 18h30m
Friday, on July, 6th at 18.30

na LIVRARIA BUCHHOLZ,
Rua Duque de Palmela, nº 4
Lisboa/ Lisbon

Isabella Mangani - Diário de Lisboa (1)

A nossa aluna, amiga e colaboradora Isabella Mangani está em Lisboa. Da capital à beira Tejo propõe-se enviar, com a regularidade possível, para os leitores de Via dei Portoghesi, um relato da sua viagem...
Boa leitura!


Acontece em Lisboa.

Acontece chegar depois de alguns meses de ausência e dar por si a chorar lágrimas de felicidade a descer pelo rosto, ali, na Praça da Figueira. Pela luz, pelo ar tão fresco, a brisa suave e acolhedora que sempre me tem recordado da minha cidade natal.

Acontece de encontrar no mesmo dia uma tradicional tuna universitária de capa, guitarras e tamborzinhos, coreografando e cantando (muito bem, e bem harmonizados), e depois o coro CoLeGaS na Praça do Comércio: músicas para crianças e excertos de célebres espetáculos musicais muito bem cantados por um grupo de uma dezena de pessoas que são lésbicas, gay ou simpatizantes (daí o nome do coro, que acho muito engraçado).

Acontece que a sintaxe te ajude a matar dois coelhos com uma cajadada: “Fui a ver um filme com a Mariza e o Rui Vieira Nery” significa não só que a fadista e o musicólogo estão dentro da película, mas que estão na sala contigo. Uma sala meia cheia, onde Mariza entra e muito simplesmente diz “Boa noite” a todos antes de se sentar. O filme era The Story of Fado, de Simon Broughton (ele também presente na sala) e o lugar era o Museu do Fado.

Acontece voltar ao Museu do Fado (dado que o festival “O Fado no Cinema” é gratuito, vou sempre que posso, pois claro) para ver Fados de Carlos Saura. Sala mais uma vez quase vazia (como é possível??), muita emoção, grande energia. Não o poderia pensar, mas chorei ao ouvir Carlos do Carmo cantar “Um homem na cidade”. Em Lisboa também acontece partilhar lágrimas e violar etiquetas: quando o filme chegou à Revolução dos Cravos, eu e uma senhora atrás de mim cantámos bem alto Grândola Vila Morena juntas com a voz do Zeca e depois acompanhámos com as nossas lágrimas o Chico Buarque com o Júlio Pereira na releitura de Fado Tropical. Eu ouvi-a soluçar e decidi deixar as minhas próprias lágrimas descer pelas bochechas sem enxugá-las, de modo que podéssemos partilhar aquele momento sem palavra nenhuma.

Succede a Lisbona.
Succede di tornare dopo alcuni mesi e scoprire che lacrime di felicità ti rigano il viso, là, in Praça da Figueira. Per la luce, per l’aria fresca, il vento dolce e accogliente che mi ha sempre ricordato la mia città.
Succede di imbattersi lo stesso giorno in una tradizionalissima tuna universitaria con tanto di mantelli, chitarre (portoghesi) e tamburelli, che balla e canta (molto bene e con belle armonizzazioni), e poi trovare il coro CoLeGaS nella Praça do Comércio: musica per bambini e pezzi di noti musical molto ben cantati da un gruppo formato da una decina di persone lesbiche, gay o simpatizzanti (da cui il nome del coro... proprio indovinato, vero?).
Succede che la sintassi ti aiuti a prendere due piccioni con una fava: “Ho visto un film con Mariza e Rui Vieira Nery” non solo significa che la fadista e il musicologo erano nella pellicola, ma anche che erano in sala con te. Una sala neppure piena, dove Mariza entra e semplicemente dà la buonasera ai presenti preima di sedersi. Il film era The Story of Fado, di Simon Broughton (anche lui presente in sala) e il luogo il Museu do Fado.
Succede di ritornare al Museu do Fado (dal momento che il festival “O Fado no Cinema” è gratuito, ci vado ogni volta che posso, naturalmente) per vedere Fadosdi Carlos Saura. La sala ancora una volta quasi vuota (e mi chiedo come sia possibile), molta emozione, una grande energia. Non l’avrei mai creduto, ma ho pianto ascoltando Carlos do Carmo cantare “Um homem na cidade”. A Lisbona può anche succedere di condividere lacrime e venir meno all’etichetta: quando il film è arrivato alla Rivoluzione dei Garofani, io e una signora dietro di me abbiamo cantato ad alta voce Grândola Vila Morena insieme a Zeca Afonso, e poi abbiamo seguito con le nostre lacrime Chico Buarque e Júlio Pereira nella rilettura di Fado Tropical. L’ho sentita singhiozzare, allora ho deciso di lasciare che mie lacrime scendessero, senza asciugarle, perché condividessimo quel momento senza parole.

ISABELLA MANGANI