Na edição de sábado passado da Revista D - suplemento do jornal La Repubblica - foi publicado um arttigo de opinião de Álvaro Siza Vieira, um dos mais internacionais arquitectos portugueses.
O texto, recolhido em Junho na Cava Cengelle, Vicenza, na conferência que então fez Álvaro Siza por ocasião dos oitenta anos de Casabella, antecedia de pouco a sua Lectio Magistralis, esta tarde, em Lecce.
Sobre a conferência de Vicenza, aqui publicamos uma nota de Veronica Dal Buono.
La narrazione di Álvaro ha principio con una similitudine tra fare architettura ed il mestiere di scrivere. Se, parafrasando Saramago, non apprende a scrivere chi non sa leggere, allo stesso modo il dono dell’architettura è legato alla capacità di leggere l’architettura.Come nel format di una “doppia intervista”, Siza ora, attraverso la personale selezione di immagini, esplicita il proprio percorso personale di vita e di lavoro, raccontando di sé con la naturalezza di un uomo che ha raggiunto con soddisfazione e senza rimpianti un equilibrio di vita e di opera. Apprendiamo come si sia avvicinato all’architettura attraverso strumenti di conoscenza, le stesse riviste, al tempo della sua formazione così rare e difficili da reperire e come esse siano state fondamentali per innescare il passaggio di interesse e predilezione avvenuto tra scultura e architettura. Perchè per primo Siza è nato scultore e le sue opere conservano ancor oggi il segno di una mano sempre capace di tagliare o comporre l’essenziale, privando la materia di tutto ciò che non è indispensabile.Poi il passaggio dall’autoreferenzialità dell’arte al fine “sociale” dell’architettura, su tutte le scale, dalla casa alla costruzione della città. L’insegnamento appreso dalla città esistente, dove le emergenze sono tali solo perchè immerse nel tessuto nella cui semplicità diffusa, se non se ne rispetta la condizione interna, l’architettura e i luoghi degni di memoria rischiano di non trovare più posto: così “ se in una città tutto brilla, i monumenti non hanno più ragione”.Con due cognizioni fondamentali (e molto loosiane) i due maestri ci lasciano per passare al momento conviviale della serata (audace “cena del cavatore” dove formaggio Asiago, soppressa e pasta e fagioli non possono deludere).Se Souto de Moura saluta con un appello urgente, in un mondo dove siamo troppi e tutti uguali, ad essere “più classici”, Álvaro Siza conclude citando Pessoa (e Zevi insieme): “la cosa migliore del mondo è vedere” e quindi “sapere vedere l’architettura” è come da essa apprendere.
di Veronica Dal Buono
IN
http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=1779
Nessun commento:
Posta un commento