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I bolognesi Massimiliano ed Elisa, Michele musicista di Rimini, e tanti
altri: venti vite raccolte in "Lisbon storie"
di LUCA BORTOLOTTI
BOLOGNA - È una fuga dall’Italia,
una fuga anche da Bologna, ma portandosene dietro un pezzetto. Ci sono anche
Massimiliano ed Elisa, ex proprietari di un bar a Bologna e che a Lisbona hanno
aperto un locale dedicato al poeta del Pratello Roberto Mastai, o il musicista
riminese Michele Mengucci, in “Lisbon storie”, primo docufilm sulla comunità
degli emigrati italiani nella capitale lusitana.
Girato in tre anni da Daniele
Coltrinari, Luca Onesti e Massimiliano Rossi, “Lisbon storie” lo scorso 7
aprile è stato presentato in anteprima al festival portoghese dedicato al
cinema italiano “8 ½”, e racconta le storie di baristi, architetti, artisti, coreografi,
venti persone che hanno scelto di lasciare l’Italia per vivere a Lisbona. Tra
loro ci sono Massimiliano Fantini ed Elisa Tonelli, ex proprietari del Vanilia
in via del Pratello, che a fine 2014 hanno inaugurato nel Bairro Alto la Tasca
Mastai. La dedica, per chi vive a Bologna e bazzica quell’ecosistema a sé che è
il Pratello, è chiara: Roberto Mastai, il poeta che girava tra i locali della
zona a dedicare versi scritti sulle tovagliette di carta, scomparso nel 2013 e
a cui è intitolato anche un angolo all’incrocio di via Pietralata.
“Un artista naif, poeta e grande amico che se
n’è andato improvvisamente e ha lasciato un vuoto tropo grande. Del nostro
sogno di venire a vivere a Lisbona ne parlavamo già assieme a Roberto quando ci
veniva a trovare al Vanilia, così abbiamo deciso di portare qui anche lui, ora
che può viaggiare con noi”, raccontano Massimiliano ed Elisa dalla Tasca
Mastai. Da dove spiegano la loro exit strategy da Bologna, una città “di cui ci
eravamo stancati, che negli ultimi anni ha avuto una implosione agghiacciante,
soprattutto per chi fa il nostro lavoro, fatto di comunicazione, dello stare in
mezzo alla gente”, commentano con un po’ di amarezza. “Ci siamo accorti che
passavamo le serate a parlare di quanto tutto va male, i portoghesi hanno un
approccio più positivo – continuano –. Eravamo stati altre volte a Lisbona, poi
abbiamo deciso di trasferirci definitivamente: se ci stai un po’, capisci cos’è
la saudade, perché quando te ne vai stai male”. Dietro a ciò c’è anche una
questione geoclimatica, per così dire. “A Bologna ho vissuto 40 anni, è
meravigliosa, i suoi portici sono belli, ma fanno anche sì che tu non veda mai
il cielo: qua c’è un cielo immenso che vivi in ogni momento, tornato a Bologna
mi sembrava di non uscire mai di casa”.
Nel documentario si racconta
anche Michele Mengucci, musicista riminese che da anni vive a Lisbona e a lungo
ha suonato nei locali di Bologna,
“dove facevo musica brasiliana,
poi sono arrivato in Portogallo e mi sono messo a fare musica italiana, perché
suonava esotica”, racconta. Ma in venti anni a Lisbona ha trovato la sua
dimensione artistica, un genere che definisce “afrotuga”, a metà tra ritmi
lusitani e africani. “Io canto così perché nei fadisti vedo la Napoli anni ’50,
una musica che arriva da crisi e miseria, gente che, come me, vola basso ma
vola”.