lunedì 26 ottobre 2009

"L'Alentejo dei ritmi lenti" in Qui Touring


Agradecemos a assinalação de Roberta Spadacini


L'Alentejo dei ritmi lenti


La signora dietro al bancone prende le ordinazioni come prende la vita: con calma. Intabarrata nel suo vestito nero ravvivato da un grembiule rosso con i fiorellini dopo un quarto d’ora esce lenta sul marciapiede che funge anche da veranda pur essendo senza copertura e butta lì un O senhor o que è que quiere?. E quando uno si sente chiamare o senhor mette da parte la foga da cittadino in vacanza e inizia a sintonizzarsi con il ritmo dell’Alentejo. Lento. “Che c’è da mangiare?”, “dipende”. Dove dipende sta per “dipende quanto tempo siete disposti ad aspettare”. Perché da queste parti si mangia quel che c’è. E quel che c’è è prima da pensare, preparare e poi, in caso, cuocere. Dopo aver vinto un’insalata mista cosparsa di bottarga e una imperial, ovvero il bicchiere di birra alla spina che accompagna la vita dei portoghesi più di un fado di Amalia, si può star contenti ad aspettare. E dedicarsi all’unica attività possibile: contemplare il paesaggio. In qualsiasi bar di passaggio, in qualunque pomeriggio dell’anno, la scena è invariabilmente la stessa: alberi di sughero a perdita d’occhio, campi di grano che seguono il profilo delle colline, qualche auto, poche persone, per lo più anziane e a capo coperto. Se siete in cerca di spazio accomodatevi: l’Alentejo è la maggior riserva di spazio di tutto il Portogallo. Spazio per gli occhi, spazio per la mente, spazio per vagare senza meta cercando la fine di una strada che sfila via lungo l’orizzonte. Sopra un cielo pieno che promette acqua e sole con la stessa netta durezza. Qui le nuvole sembrano sempre aver fretta di andare altrove, la pioggia dura poco e il sole fa sempre capolino, come se si fosse ancorati su una zattera alla deriva in mezzo al mare. E in effetti l’Alentejo spesso viene considerato un mare interiore: l’infinito retrobottega di un Paese di marinai attaccati alla roccia. Strana terra, l’Alentejo. Cammini per chilometri senza trovare una casa che sia una. Solo colline piantate a grano e querce da sughero che se ne stanno come baobab nel Sahara. Qui e lì un uliveto centenario, una stalla un po’ caduta, terreno arido e resti di case. Ogni tanto, dietro una curva, oltre una collina, sbuca qualche paese segnalato con baldanza sulle carte geografiche, quasi fosse una metropoli. E invece è un abitato di poche case raccolte intorno alle chiese matríz; tutte immancabilmente imbiancate a calce, con i contorni segnati di blu o di giallo, come si usa da queste parti. Hanno nomi belli e pochi abitanti, per lo più contadini. Si chiamano Grândola, Santiago do Cacém, Alvito, Cuba. L’unica città degna di questo nome è Beja, che è uguale agli altri paesi della zona, solo un po’ più grande.


Lontani o vicini?
Così, al massimo, lungo la strada, oltre a un desolato benzinaio della Galp dove fermarsi a prendere una birra, si trova qualche maiale grande e nero, allevato a ghiande e rifiuti. Animali grossi con cui si prepara il piatto migliore della regione: carne de porco à alentejana, una ricetta che mischia maiale e vongole, quasi a racchiudere il destino di queste terre. Strette tra la Spagna e l’Atlantico, povere e spopolate da che si ricordino i libri di storia. Qui i turisti sono ancora merce rara. Il boom delle vacanze per inglesi è altrove, qualche centinaio di chilometri più a sud, in Algarve. Lisbona è vicina, certo. Ma in Alentejo non se ne sono mai curati troppo. Per secoli questo era il regno del latifondo più duro che ci fosse. La gente viveva la sua vita nei piccoli paesini e a Lisbona andavano solo i signori, quelli che abitavano nella casa grande, in cima alla collina, vicino alla chiesa. Gli altri, i cafoni, stavano nelle casette piccole. Le une attaccate alle altre, come a voler significare che la gente di queste parti non aveva altra ricchezza che aiutarsi a vicenda. Sarà forse per questo che quando nel 1974 il regime salazarista è caduto qui sono diventati tutti comunisti. Terre occupate, latifondi divisi e via con l’epoca delle fattorie collettive. Un sogno svanito presto: negli anni i vecchi latifondisti si sono ricomprati le terre collettivizzate e addio compagni. Come presto è evaporato il sogno industriale costruito a Sines. Raffinerie, alte torri e un oleodotto. I moli di cemento a spingersi nel mare e un grande porto sull’Atlantico senza che da queste parti ci fosse alcunché da caricare. Ma forse i governanti di allora intendevano spedire le speranze, chissà. Raccontato così l’Alentejo sembra una terra triste. Il che, a ben vedere, fa il paio con un certo stereotipo del Portogallo. Quello che lo vuole come una Spagna in tono minore. Togli il ritmo del flamenco e metti le nenie del fado; leva la ricchezza anche visiva della paella e prendi un onesto bacalhau; dimentica l’effervescenza della Spagna campione d’Europa e ricordati di una nazionale di calcio che è riuscita a perdere un Europeo già vinto giocando in casa contro la piccola Grecia. Eppure non è così. Se è vero “che ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne racconti la filosofia” è altrettanto vero che c’è più da vedere in Alentejo di quanto dicano le guide. Tutto sta negli occhi di chi guarda.

Verso l'oceano
Perché serve un certo allenamento a percepire la bellezza aspra della costa Vicentina, il litorale alentejano che dalle foci del Sado scende fino alle montagnole che segnano il confine con l’Algarve. Un litorale ventoso, inospitale per chi vuole prendere il sole, con un mare perennemente agitato che respinge chi vuole fare un bagno. Eppure capitare dalle parti di Vila Nova de Milfontes sul far della sera è uno spettacolo che va visto: le scogliere ampie che si tuffano nell’Atlantico, il vento che schiaffeggia il grano, qualche mucca che si gode il fresco, le luci di piccole masserie che si accendono qua e là. Il trionfo di questo paesaggio è Zambujeira do Mar: trenta chilometri più a sud di Vila Nova. Qui c’è una grande spiaggia riparata che ricorda l’Algarve, ma la vita è ferma per 360 giorni l’anno. Si anima solo all’inizio d’agosto, quando nei campi dietro il paese montano un palco degno di San Siro e l’orizzonte si riempe di tende. È il Festival Sudoeste: ritrovo per gruppi rock di ottimo livello che arrivano da mezzo mondo. È l’unico periodo in cui viene messa a repentaglio la quiete di queste zone. Per il resto dell’anno, nulla. Se da queste parti avessero sepolto Kant non si sarebbe trovato male: la legge morale dentro di lui e un cielo stellato a far da corona a una notte di silenzi. Perché in Alentejo la notte sembra più notte. Scura, come ancora la disegnano solo i bambini. Nera, come il vestito di una signora che prende le ordinazioni. Con calma.


IN

1 commento:

Massi ha detto...

A parte un piccolo errore linguistico (quiere), mi sembra un ottimo articolo. Si vede che il giornalista c'è stato ed ha perso tempo ad informarsi sul posto, sulle sue vicende socio-economiche e anche politiche. Il touring rimane sempre un punto di riferimento per il turista non superficiale...
Saudações alfacinhas