mercoledì 31 maggio 2017

A Francisco de Almeida Dias il Premio Speciale della Giuria - Quaderni Ibero Americani 2017



Francisco de Almeida Dias sarà il primo portoghese ad essere insignito di uno dei premi speciali della Giuria della prestigiosa rivista di attualità culturale della Penisola Iberica e dell’America Latina, fondata nel 1946 dal padre dell’iberoamericanismo italiano, Giovanni Maria Bertini: “Quaderni Ibero Americani”.
La cerimonia di premiazione dell’edizione di quest’anno, la quinta nella storia del Premio Quaderni Ibero Americani, si svolgerà a Napoli giovedì 8 giugno, alle ore 18, nella splendida cornice di Palazzo Zevallos, arricchita quest'anno da una sinergia tra l'Università Suor Orsola Benincasa e l'Università di Dresda che darà il via ad un'opera di restauro di due beni situati sul territorio napoletano in cui i giovani studenti saranno protagonisti. 
Il vincitore è lo scrittore spagnolo Juan Eslava Galán, ma la Giuria ha deciso di conferire altri tre Premi Speciali: al Dott. Mauro Felicori, Direttore della Reggia di Caserta, per il suo impegno nella salvaguardia e valorizzazione dello storico Parco; al Prof. Thomas Danzl, Decano dell’Università di Dresda,  per lo studio altamente scientifico delle pitture della Torre Guevara di Ischia e al Prof. Francisco de Almeida Dias per il suo contributo alla diffusione della cultura lusofona e per lo studio della storia del Portogallo in Italia.
VIDEO PRESENTAZIONE https://youtu.be/aPvUC_GzDXY
QUI 2
www.facebook.com/QuadernIberoAmericani

Come si legge sul sito http://www.quaderniberoamericani.org/: «Da decenni, i “Quaderni Ibero Americani” sono uno strumento di indagine letteraria e di percorsi interculturali. La rivista si rivolge ai multiformi mondi dell’iberistica, sia ispanofona che lusofona, sia nella penisola iberica sia nell’America Latina che nell’Africa lusofona. Tra i collaboratori storici dei “Quaderni Ibero Americani” i Premi Nobel Gabriela Mistral, Pablo Neruda, Miguel Angel Asturias, Juan Ramón Jiménez, Camilo José Cela, Vicente Aleixandre, poeti come Dámaso Alonso e gli intellettuali Benedetto Croce e Ramón Menéndez Pidal. La rivista continua a rispettare questa illustre tradizione annoverando tra i suoi collaboratori i maggiori specialisti di iberistica di più di quaranta università di varie aree del mondo.»

FIORELLA IALONGO: Salvatore Viganò: la danza elevata ad arte ed assegnazione premio speciale al Prof. Francisco de Almeida Dias


Scritto da Fiorella Ialongo          
Pubblicato: 30 Maggio 2017 in http://www.matchnews.it/it/arte-cultura/1400-salvatore-vigano-la-danza-elevata-ad-arte-ed-assegnazione-premio-speciale-al-prof-francisco-de-almeida-dias.html

Chi è stato Salvatore Viganò? Il suo nome e la sua biografia sono probabilmente poco conosciuti al grande pubblico.

Il suo è stato un destino analogo ad alcuni grandi italiani come Vivaldi i quali sono stati molto famosi all’epoca in cui sono vissuti, dopo la loro scomparsa sono entrati nell’oblio e, dopo parecchio tempo, sono stati riscoperti ed universalmente apprezzati. Salvatore Viganò è vissuto tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 ed ha racchiuso in sé poliedrici talenti: ballerino, coreografo e compositore. Il suo genio è stato sapientemente narrato nel libro: “Ritorno a Viganò, Saggi sul coreografo Salvatore Viganò” da parte dei curatori dell’opera José Sasportes e Patrizia Veroli.

La presentazione dell’opera si è svolta nei locali del salone nobile dell’Istituto Portoghese di S. Antonio, nell’omonima via a Roma, all’autorevole presenza dell’Ambasciatore del Portogallo in Italia Francisco Ribeiro Telles e con la relazione del collezionista Madison Sowell. In riferimento ai  curatori dell’opera si sottolinea che José Sasportes è stato Ministro della cultura del Portogallo ed ha ricoperto altissime altre cariche culturali con particolare attenzione al campo della danza, di cui è un profondo conoscitore. Nel corso della presentazione del libro, e di un’ intervista che ci ha gentilmente concesso, è emerso che Salvatore Viganò può essere ritenuto uno dei massimi esponenti della nostra danza che elevò a tal punto da renderla un’arte. Il suo stile era innovativo ed originale. Pur non potendo riproporre i suoi balletti, in quanto le coreografie sono andate perse, ne è rimasto il ricordo che è diventato leggenda grazie ad alcune testimonianze documentali certe. Contrariamente a quanto avveniva al tempo in cui è vissuto, i suoi balletti erano molto scenografici, con allestimenti teatrali imponenti, un gran numero di personaggi che non fungevano da contorno ma erano un vero e proprio corpo di ballo. Senza dimenticare il successo che diede il look della moglie, la ballerina spagnola Maria Medina, con abiti svolazzanti e leggeri. Viganò diede vita ad un genere di danza denominato “coreodramma”.

Esso può essere spiegato come una sorta di trasposizione del primo cinema muto nella danza in riferimento alla forte espressività degli attori, alla loro decisa gestualità. A rendere maggiormente d’effetto la coreografia, vi era uno stretto legame con la musica, in quanto Viganò fu anche compositore di alcuni balletti che mise in scena. Il suo successo fu tale che partecipò, tra l’altro, con Beethoven alla scrittura che lo stesso compositore elaborò per l’opera “Le creature di Prometeo”. Tra gli stimatori di Viganò vi fu anche Stendhal il quale lo paragonò a Shakespeare come bellezza ed espressività. Alla morte di Viganò non vi furono altri in grado di raccogliere ed arricchire la sua eredità con la stessa maestria. Un’altra notizia che la nostra redazione ha grande piacere di diffondere è un comunicato dell’Ambasciata del Portogallo in Italia:

“Francisco de Almeida Dias sarà il primo portoghese ad essere insignito di uno dei premi speciali della Giuria della prestigiosa rivista di attualità culturale della Penisola Iberica e dell’America Latina, fondata nel 1946 dal padre dell’iberoamericanismo italiano, Giovanni Maria Bertini: “Quaderni Ibero Americani”.

La cerimonia di premiazione dell’edizione di quest’anno, la quinta nella storia del Premio Quaderni Ibero Americani, si svolgerà a Napoli giovedì 8 giugno, alle ore 18, nella splendida cornice di Palazzo Zevallos, arricchita quest'anno da una sinergia tra l'Università Suor Orsola Benincasa e l'Università di Dresda che darà il via ad un'opera di restauro di due beni situati sul territorio napoletano in cui i giovani studenti saranno protagonisti.

Il vincitore è lo scrittore spagnolo Juan Eslava Galán, ma la Giuria ha deciso di conferire altri tre Premi Speciali: al Dott. Mauro Felicori, Direttore della Reggia di Caserta, per il suo impegno nella salvaguardia e valorizzazione dello storico Parco; al Prof. Thomas Danzl, Decano dell’Università di Dresda,  per lo studio altamente scientifico delle pitture della Torre Guevara di Ischia e al Prof. Francisco de Almeida Dias per il suo contributo alla diffusione della cultura lusofona e per lo studio della storia del Portogallo in Italia”.

Al Prof. Francisco de Almeida Dias, anima culturale dell’Istituto Portoghese di S. Antonio a Roma, la redazione di Matchnews rivolge le congratulazioni per il prestigioso riconoscimento ed augura di proseguire lungo la strada del successo.

Joaquim Carreira: A história do quarto português “Justo entre as Nações”








À porta do Pontifício Colégio Português, em Roma, estava afixado um aviso: “Este edifício serve para fins religiosos e é propriedade do Estado da Cidade do Vaticano. Quaisquer buscas ou requisições estão proibidas”. A assinatura era do general alemão Reiner Stahel, que comandou Roma entre setembro de 1943 e junho de 1944, durante a ocupação nazi da capital italiana.



O Vaticano seguia então uma política cautelosa, de uma difícil neutralidade. Mas o mesmo não fez o então vice-reitor do colégio luso. “Concedi asilo e hospitalidade no colégio a pessoas que eram perseguidas na base de leis injustas e desumanas”, escreveu o padre Joaquim Carreira no relatório referente ao ano letivo de 1943-1944. Agora, 70 anos depois do final da Segunda Guerra Mundial, o português vai receber esta quarta-feira, em Lisboa e a título póstumo, a medalha e o diploma de “Justo entre a Nações”, do Yad Vashem, Memorial do Holocausto e centro de pesquisa com sede em Jerusalém. É a maior distinção para não-judeus que pode ser emitida em nome do Estado de Israel e do povo judeu – uma distinção só atribuída a heróis.
Aristides de Sousa Mendes, Sampaio Garrido e José Brito Mendes. No Memorial dos Justos, em Jerusalém, estão gravados mais de 25 mil nomes de mulheres e homens não judeus que, durante a Segunda Grande Guerra, puseram a vida em risco para salvar da morte certa os judeus perseguidos pelo regime nazi. Até agora eram aí recordados três portugueses. A partir deste verão, um quarto nome luso passará a estar lá gravado.
A notícia foi dada em primeira mão no blogue Religionline, do jornalista António Marujo, distinguido em 1995 e 2006 com o Prémio Europeu de Jornalismo Religioso na Imprensa Não-Confessional. Até porque tinha sido o próprio a enviar para o Yad Vashem, um ano antes, os novos dados, que incluíam o depoimento de um sobrevivente judeu ainda vivo, determinante para apoiar a investigação do centro israelita.
“Esta é uma historia muito comovente porque ele nem sequer era italiano, era um português em Roma. Podia muito bem ter dito: ‘Não tenho nada a ver com isso’. Mas decidiu envolver-se e ajudar a família”, explica ao Observador Irena Steinfeldt, diretora do departamento “Justos entre as Nações” do Yad Vashem. A família judaico-italiana Cittone é a peça central do processo. Os nomes de Elio, à época com 16 anos, do pai, Roberto, e do tio, Isacco, estão na lista de refugiados escrita por Joaquim Carreira para o relatório. Em 2012, António Marujo conseguiu encontrar Elio Cittone em Milão. Hoje com 88 anos, é provavelmente a única testemunha viva da ação do padre português.
“Era muito gentil”, disse num artigo publicado no jornal Público, para o qual António Marujo trabalhava na altura. “Nunca mais o vi (…). Mas estou-lhe muito grato e recordo sempre o facto de ele me ter salvo a vida”.

“NAQUELE CANTINHO DE PORTUGAL EM ROMA, AGUARDEI O RETORNO À VIDA”

O reconhecimento do Yad Vashem pelos feitos do padre português inclui apenas a ajuda dada à família judaica Cittone. Mas Joaquim Carreira abriu as portas do Colégio aos necessitados sem olhar a religião nem família política. “Professores, médicos, advogados, socialistas, pessoas que pertenciam ao exército italiano mas que não concordavam com o sistema, e que estavam na lista de perseguidos. Todos os que batiam à porta ele acolhia”, conta ao Observador João Carreira Mónico, sobrinho de Joaquim Carreira e padre dos Missionários Espiritanos. Serão à volta de 40 pessoas, mas é difícil saber o número exato. “Servindo-nos dos relatórios de 1943, 1944 e 1945 que ele escreveu, e onde aflorou a situação que viveu, ele fala em 40 pessoas”, clarifica. “Mas, tratando-se de um colégio de seminaristas, não contabiliza, por exemplo, senhoras e raparigas que batiam à porta naquela emergência toda, que ele depois canalizava para as casas religiosas femininas. Desses casos falou mais tarde a algumas pessoas”, diz. No caso da família Cittone, por exemplo, o filho de Isacco, Elio Cittone (os primos Cittone partilham o mesmo nome), esteve com a mãe e a irmã mais velha noutro colégio “nos arredores de Roma”, contou ao Observador, via e-mail. Tem 85 anos.
Nos primeiros anos do século XXI, João Carreira Mónico publicou a biografia Monsenhor Joaquim Carreira – Apóstolo do Bem, na Guerra e na Paz. Mergulhou no arquivo do Colégio Português e incluiu alguns depoimentos dos refugiados que permitem saber mais sobre aquela época e sobre quem esteve escondido. Quase todos os refugiados têm em comum as boas posições civis e militares na sociedade italiana. Cesare Frugoni, por exemplo, foi médico de personalidades como Guglielmo Marconi, inventor do primeiro sistema prático de telegrafia sem fios, e do próprio ditador fascista Benito Mussolini.
Mario Jacopetti, engenheiro e professor na Universidade de Nápoles, esteve lá vários meses. Em dezembro de 1943 escreveu um poema sobre o dia-a-dia no colégio lusitano, e que constitui o relato mais completo de como viviam os refugiados. Para além de elogiar a bondade com que foi recebido pelo “Dr. Carreira”, Jacopetti contou em verso que cada pessoa foi distribuída pelos quartos destinados aos padres, recordou a necessidade de deixar sempre tudo em ordem para que a casa “apareça como que abandonada” e a criatividade necessária para ocupar o tempo lá dentro. Uns procuravam a biblioteca, outros “conforto junto do rádio à procura de algumas notícias e música” e até houve tempo para aprender a um jogo de cartas português “chamado sueca”.

“E entre as pessoas assim perseguidas
que se apresentavam humildes, temerosas,
procurando asilo quase desesperado
houve alguns cujo ansioso
pedido foi do céu bem aceite
e foram acolhidos pelo humano
Reitor do Colégio Lusitano”.
Mario Jacopetti, dezembro de 1943

As memórias e o poema estão nos arquivos do colégio, assim como tanto outros, recuperados por João Carreira Mónico para a biografia que escreveu sobre a vida do tio. Outro testemunho, de 2 de agosto de 1946, é do médico cirurgião Francesco Santostefano, ainda estudante de medicina quando foi acolhido por Joaquim Carreira, perante a ameaça permanente de rusgas alemãs. “Apesar de se ter abatido sobre Roma o espectro da fome, graças à preocupação e sacrifício do reitor nunca faltou nada na nossa mesa”, escreveu. “Naquele cantinho de Portugal, em Roma, aguardei o retorno à vida, enquanto me acalentava à chama da verdadeira caridade”.
No relatório, o vice-reitor confessou provações. “Enquanto durou a guerra pudemos, com a ajuda de Deus, sustentar o Colégio, sem vergonha do mundo, sim, mas não sem gravíssimas dificuldades”. Com Roma em guerra, a comida começou a faltar e o custo de vida a subir. A propósito do centenário do nascimento de Joaquim Carreira, em 2008, o Santuário de Fátima dedicou-lhe um texto onde é possível perceber que era o Monsenhor que se ocupava pessoalmente de arranjar mantimentos. “Se não conhecesse tantos moleiros nos arredores de Roma, os meus hóspedes teriam passado muita fome! O milho, cozido em grão, valia por bom bife!”. Comprar comida a mais para o número de pessoas que deveria habitar o edifício também poderia ter colocado a vida do padre em risco.
A 26 de maio de 1944, Giuseppe Caronia, médico, e a poucas semanas de ser nomeado reitor da Universidade de Roma La Sapienza, soube que a polícia andava à procura dele por ter ajudado judeus e dissidentes vários. Também ele acabou por se refugiar durante oito dias junto de Joaquim Carreira. E escreveu:
“Durante a noite de 3 para 4 de junho, do alto dos terraços do Colégio, assistimos confrangidos ao espetáculo grandioso da destruição da periferia de Roma, de obras que tanto esforço humano representavam: eram de todos os lados, o clarão imenso dos fogos, o estrondear de explosões (…). Mas, se o tempo há-de atenuar a recordação das tristes e cruéis vicissitudes da guerra, viverá para sempre em mim a lembrança daqueles poucos dias passados na paz tão hospitaleira e fraterna do Colégio Português”.
Apesar do aviso afixado à porta, há relatos de pelo menos uma incursão do exército nazi ao edifício português. Na conversa com o jornalista António Marujo, Elio Cittone disse ter ideia de que os alemães bateram à porta do colégio pelo menos uma vez. E o tio, Isacco, consciente de que as instituições religiosas já não estavam a salvo, decidiu sair com o sobrinho para procurar outro refúgio, após mês e meio de estadia no Colégio.
“O relatório não nos diz nada sobre uma invasão”, explica João Carreira Mónico. Mas o episódio terá mesmo acontecido. “Nós sabemos que houve uma ameaça de entrada dos alemães e os refugiados tiveram de fugir e esconder-se no telhado. Depois, chegámos à conclusão que foi um grupo que entrou”. O padre João nunca esclareceu este, nem nenhum outro episódio com o tio. “Ele não se abria muito. Talvez por humildade ou simplicidade, ou porque não valia a pena estar a chorar o leite derramado”, recorda.

“PARA O QUE UMA MÃE CRIA UM FILHO!”

Joaquim Carreira nasceu a 8 de setembro de 1908, no Souto de Cima, na Caranguejeira, a cerca de 20 quilómetros de Fátima. Em sua homenagem, a rua onde cresceu chama-se atualmente Rua Monsenhor Joaquim Carreira. Os pais, Joaquim e Inácia Carreira, tiveram mais três filhas. Era uma família crente. A mãe chegou a perguntar a Joaquim Carreira se não gostaria de se tornar padre, mas não viveu o suficiente para conhecer o destino do filho. Morreu em outubro de 1918, um ano depois do milagre de Fátima. Joaquim tinha acabado de completar 11 anos.
Pouco tempo depois, o único filho homem da família entrou para o Seminário de Leiria. Em 1926, com 18 anos, foi para Roma para se tornar sacerdote e formou-se em filosofia, direito canónico e teologia. No regresso, depois de cinco anos sem vir a Portugal, foi colocado como professor do Seminário de Leiria. Nos tempos livres gostava de voar – tirou o brevet, tornando-se o primeiro sacerdote português piloto – e desenvolveu a paixão pela fotografia, tornando-se mesmo fotógrafo oficial do Santuário de Fátima.
Até que em Maio de 1940 o Bispo D. José Alves Correia da Silva mandou-o ir novamente para Roma. O sobrinho, João Carreira Mónico, conta que ele não queria ir por causa da guerra. “Ele já conhecia Roma e o Colégio, mas dada a situação de guerra, não era brincadeira nenhuma. Tinha um certo receio. Na despedida, ele disse: ‘Para o que uma mãe cria um filho!’. Eram tempos duros. Não só metia medo fazer a viagem de comboio, porque nunca se sabia o que iam encontrar pelo caminho, de minas a bombardeamentos, como depois lá. Era um cenário difícil de prever. Mas o Bispo de Leiria pediu-lhe e ele, embora com sacrifício, aceitou”.
Joaquim Carreira foi vice-reitor do Colégio Pontifício Português de Roma durante quase toda a Segunda Guerra Mundial, entre 1940 e 1945. Depois, foi nomeado reitor, cargo que ocupou até 1954. Após ter deixado o Pontifício Colégio, foi trabalhar para a Embaixada de Portugal no Vaticano. Ali ficou até 1978, altura em que saiu por limite de idade. Faleceu a 7 de dezembro de 1981, “na véspera da Imaculada Conceição”, lembra o sobrinho. “Ele dizia sempre que gostava de morrer num dia de festa de Nossa Senhora, porque era muito devoto, e foi o que aconteceu”. Morreu na Casa Madonna di Fatima, onde vivia.
O “padre aviador” passou a maior parte da vida na capital italiana e o sobrinho via-o, essencialmente, nas visitas que fazia à terra quando vinha a Portugal. “Visitava as três irmãs, tratava de assuntos referentes ao Colégio e aproveitava para matar saudades de andar na avioneta, no Aero Clube de Leiria, do qual era membro. Em Roma, depois da guerra, também tinha autorização para voar, quer lá, quer em Rieti. Gostava muito de ver a terra do alto”, recorda o sobrinho.
Em 1975, já no caminho do sacerdócio, o padre Mónico passou muito tempo em Roma com o tio. Com ele pôde conhecer bem a antiga capital do Império Romano. “Ele sabia dos monumentos, da história, das estátuas, das esculturas, sabia tudo”, conta. Em 1974 chegou a publicar, pela Lello & Irmão Editores, o roteiro Roma – História, Arte, Religião. João Carreira Mónico descreve um homem simples, sorridente, alegre, inteligente, uma pessoa comunicativa. “Mas também não se demorava muito. Estava sempre atento aos outros. O bem que ele pudesse fazer, fazia-o. Era também bem-humorado, tinha sempre uma anedota, uma piada para descongestionar”.
Quando Joaquim Carreira morreu, ficou sepultado no Campo Verano, em Roma. Mas em 2001, a família decidiu trazer os restos mortais para a terra natal. A trasladação fez sair alguns artigos na imprensa portuguesa. “Restos mortais trasladados para Leiria. Padre piloto salvou centenas do nazismo”, titulava o Correio da Manhã, em fevereiro de 2001, por ocasião da chegada do caixão de Joaquim Carreira ao cemitério de Soutos-Caranguejeira, em Leiria. O Jornal de Notícias falava mesmo em “milhares de pessoas” escondidas pelo padre. À época, os dados ainda não estavam reunidos e os números foram empolados.
António Marujo foi o primeiro jornalista a investigar a história e a difundir o número correto de pessoas ajudadas por Joaquim Carreira. Há cerca de 10 anos, no Congresso de Historiadores em Roma, uma freira referiu que milhares de refugiados judeus tinham sido abrigados em casas religiosas durante a Segunda Guerra Mundial. Depois de ler a intervenção, ficou com vontade de pegar no assunto “e tentar perceber se no Colégio Pontifício Português também teria havido alguma coisa semelhante ou não”, recorda ao Observador.
Acabou por encontrar informações e soube que existia documentação nos arquivos do Colégio, situado desde 1975 num edifício na Via Nicolò V, mesmo junto às muralhas do Vaticano. Propôs ao Público uma investigação mais cuidada e foi a Roma no início de 2012. “O relatório não entra em muitos detalhes. Mas é depois apoiado nas muitas cartas que os refugiados enviaram mais tarde, a agradecer”, sublinha. O último passo da pesquisa deu-se quando conseguiu encontrar Elio Cittone e entrar em contacto com ele.
Sabia que os dados tinham potencial para o Yad Vashem distinguir o padre português e escreveu para lá. “Mandei o material que tinha publicado no jornal e perguntei se não queriam investigar. Mas limitei-me a comunicar”. A história pode vir a acabar num livro. António Marujo admite que tem propostas em cima da mesa. “Provavelmente em maio poderei pensar nisso”, adianta.

A GRATIDÃO DO POVO JUDEU, 70 ANOS DEPOIS

O Yad Vashem confirma que recebeu a informação de António Marujo, e que esta foi importante, nomeadamente o contacto do sobrevivente Elio Cittone. A relatório do padre português com os nomes e a confissão de ter escondido pessoas no colégio também era credível, por ter sido escrito antes do final da guerra. Mas o centro israelita investigou por conta própria e encontrou também o testemunho de uma das irmãs de Elio Cittone, Jenny, que também esteve escondida, ainda que noutro colégio, e confirmou a história.
A 4 de setembro, o processo foi encerrado com a decisão de fazer de Joaquim Carreira o quarto português “Justo entre as Nações”. “É uma honra, estamos muito agradecidos”, diz Irena Steinfeldt. De entre 25 mil nomes, há poucos os portugueses. “Mas as histórias e as motivações são muito diferentes entre si. Cada história é especial”, sublinha.
O número reduzido de portugueses pode ser explicado, em primeiro lugar, por Portugal não ter participado na guerra. Esther Mucznik, presidente da Memoshoa – Associação Memória e Ensino do Holocausto e vice-presidente da Comunidade Israelita de Lisboa, arrisca ainda outra explicação. “Os cônsules e as pessoas que estavam no terreno corriam não só o risco local, mas também se ariscavam no próprio regime. E Aristides de Sousa Mendes pagou esse risco”, diz ao Observador. O “Justo entre as Nações” mais famoso de Portugal foi suspenso por Salazar, logo que o governante tomou conhecimento que o cônsul de Bordéus tinha emitido vistos de entrada em Portugal a judeus.
Para Esther Mucznik, a homenagem a Joaquim Carreira “é totalmente merecida. Foi um homem que na realidade arriscou bastante, não só escondendo, mas saindo e entrando para trazer a comida para as pessoas”. A medalha e o certificado de honra vão ser entregues esta quarta-feira, 15 de abril, na Sinagoga Shaaré Tikvá, pela embaixadora de Israel em Lisboa, Tzipora Rimon. “É importante preservar a memória e as lições da Shoá, e que a história do Holocausto esteja integrada, cada vez mais, no ensino da nova geração”, justifica a Embaixada ao Observador.
A data da cerimónia coincide com o dia judaico de homenagem às vítimas do Holocausto. “Muito antes da ONU decretar o dia 27 de janeiro como o Dia Internacional em Memória das Vítimas do Holocausto, todas as comunidades do mundo celebram o dia do Holocausto com cerimónias nas Sinagogas, nos museus, e em Israel há um minuto de silencio em que o país para todo. Este ano, calha na quarta-feira e aproveitou-se essa ocasião para fazer a entrega, é altamente simbólico”, explica Esther Mucznik. Para além da medalha e do certificado, é plantada uma árvore em nome do homenageado na Ala dos Justos. “Há uma coisa que no judaísmo valorizamos muito, que é a gratidão. E estas foram pessoas que arriscaram tudo, não sendo judias. Quem salva uma vida, salva a humanidade inteira”.
No final dos anos 1970, João Carreira Mónico visitou o Memorial dos Justos, em Jerusalém. Estava longe de imaginar que um dia estaria ali gravado o nome de um familiar seu. É ele quem vai receber a medalha e o certificado em nome do tio. A assistir vai estar Esther Mucznik, António Marujo, familiares e amigos de Joaquim Carreira. “Ficamos muito contentes. O Yad Vashem teve uma atitude nobre que nós agradecemos profundamente”, comenta o sobrinho.
Teria o homem simples, prático, e que nunca se abriu muito sobre os seus feitos, gostado da homenagem do Yad Vashem? “Ia gostar. Ia gostar”, arrisca. “Mas também era homem para dizer: ‘Deixem-se dessas coisas’! [risos].

Pontifício Colégio Português de Roma recebeu o título “Casa de Vida”



Ontem a Fundação Raoul Wallenberg atribuiu ao Pontifício Colégio Português de Roma o título “Casa de Vida”, pelo acolhimento dado aos judeus e outras pessoas perseguidas pelo regime nazi durante a IIª Guerra Mundial.

Protagonista dessa ação corajosa foi Monsenhor Joaquim Carreira, de quem publicaremos em seguida uma notícia de Sara Otto Coelho no "Observador".

Agradecemos as fotografias do evento a Diana Carvalho e Licínio Carneiro.



http://www.lusitanum.org/noticias/pontificio-colegio-portugues-de-roma-recebe-o-titulo-casa-de-vida-da-fundacao-raoul-wallenberg:67



lunedì 29 maggio 2017

Pontifício Colégio Português de Roma recebe o título “Casa de Vida” da Fundação Raoul Wallenberg



No próximo dia 30 de Maio, a Fundação Raoul Wallenberg atribuirá ao Pontifício Colégio Português de Roma o título “Casa de Vida”, pelo acolhimento dado aos judeus e outras pessoas perseguidas pelo regime nazi durante a IIª Guerra Mundial.

O evento terá lugar no Colégio e contará com a presença dos representantes da Fundação Wallenberg, do Presidente da Conferência Episcopal Portuguesa, da Presidente da Comunidade Hebraica de Roma, do Dr. Luigi Priolo (um dos refugiados no Colégio de 1943 a 1944), do jornalista António Marujo (que deu a conhecer a história do Reitor do Colégio, Mons. Joaquim Carreira, declarado “Justo entre as Nações” em 2010, pelo Memorial do Holocausto) e outras autoridades de Roma.

Pelo menos 40 pessoas passaram pelo Colégio durante os meses que durou a ocupação nazi de Roma. Alguns eram judeus, outros resistentes antifascistas. Passadas várias décadas a Fundação Wallenberg, no seguimento do seu fundador Baruch Baruch Tenembaum, diplomata sueco que salvou um grande número de pessoas na IIª Guerra Mundial, procura preservar a memória de pessoas e instituições que deram acolhimento aos perseguidos durante o Holocausto, procurando infundir nas novas gerações o espírito de solidariedade e fraternidade.

Concerti di giugno - Sant'Antonio dei Portoghesi


venerdì 26 maggio 2017

VITO GERARDI: O “meu” Portugal



Agradecemos ao nosso aluno do primeiro ano VITO GERARDI pela sua  visão poética de Portugal, que quis partilhar com os leitores do nosso blogue!

Parabéns pelo texto, Vito!


Cabo Espichel





O “meu” Portugal

Eu não quero falar de Portugal, porque nã conheço realmente Portugal. Eu posso falar e partilhar convosco só algumas impressões e lembranças de viagem.

Eu fui a Portugal pela primeira vez em 2000. A última vez em maio de 2016. Desde 2000 eu andei de sul a norte do País em várias viagens e eu vi cidades, vilas e aldeias como Lisboa e Porto, Faro, Évora, Coimbra, Braga, Guimarães, Cascais, Sesimbra, Sintra, Óbidos, Nazaré, Tomar, Aveiro, Figueira da Foz.

De que é que eu me lembro?

Lembro-me de... Lisboa! Uma cidade muito especial com edifícios originais, coloridos. Uma cidade que está sobre o Atlântico e olha o Atlântico. Uma grande quantitade de pessoas de origem africana.
No centro da cidade belos edifícios antigos restaurados, mas também outros em ruínas, ainda o ano passado.
O Parque das Nacões e os edifícios modernos muito belos, projetados por arquitetos famosos (Santiago Calatrava, Álvaro Siza) muito diferentes da Baixa e do Chado. Eu acho que nestes há o fascínio antigo, e no Parque das Nacões há o futuro que olha para a Europa.  
Lembro-me do belissímo teatro de São Carlos, que recorda o San Carlo de Nápoles, e do Cemitério dos Prazeres onde está enterrado Antonio Tabucchi - túmulo muito simples, entre os “escritores portugueses”.

De Cascais não tenho uma grande memória. Lembro-me de muitos edifícios feios. Em Cascais fica a Villa Italia. Uma casa simples e abandonada sobre o Atlântico - a casa do ultimo Rei da Itália.

Fátima, uma grande emoção pela profunda fé das pessoas.

Depois o Porto, sobre o Rio Douro. A cidade velha recorda-me Nápoles. Uma cidade intrigante.
Muito belas igrejas, com muitas decorações e bela arquitetura. Grande contraste entre a cidade velha e moderna. Interessante e muito requintado o Museu de arte contemporanea (Fundação de Serralves) que foi projetado pelo arquitecto portugues Álvaro Siza. Mas a cidade velha estava suja, com muitos edifìcios em ruínas em 2000. Lembro-me também que aqui morreu o Rei Carlo Alberto de Sabóia.

Mas para mim o Portugal melhor são os pequenos centros, como Óbidos, Tomar (muito belo o Convento do Cristo), Coimbra, Figuera da Foz e as paisagens à volta destas povoações.
Há menos costruções e ambiente è mais natural e simples. Entre estes, muito belo é o Cabo Espichel, perto de Sesimbra,  ao sul de Lisboa, com uma pequena igreja sobre a rochedos atlânticos. Só a igreja e o silêncio.
Eu vi também, em muitas áreas, prédios modernos horríveis... A especulação imobiliária arruinou muitas áreas bonitas.

Mas a lembrança de viagem mais bela são os Açores. As ilhas de São Miguel (Ponta Delgada), Faial (Horta), Pico.
Ali tudo é belo, o tempo está parado, nada incomoda. Só o mar. O vento companheiro de viagem em todos os lugares. O Sol, luz ofuscante, barco à vela no mar, hortênsias em todos os lugares, casas brancas, igrejas brancas. Nao há edifìcios modernos feios. Nao há turistas aborrecedores.
À noite as igrejas são iluminadas e sente-se só o Atlântico. Um encanto. 

Enfim uma consideração geral. Eu não gosto de Portugal só pelas belas cidades, pelos restaurantes, onde se comem sardinhas e enguias, não pelos museus, teatros, pelo mar e paisagens.

Eu gosto das pessoas e do sistema de vida civil delas.
As pessoas são simples, disponíveis. Respeitam as regras de convivência civil... nao estão sempre ao telemóvel (na rua, no trabalho, no restaurante, na igreja, etc.).

As cidades, geralmente, são limpas, ordenadas, as estações de metro são ordenadas, os autocarros não estão sempre apinhados, e mais, mais, mais...
Eu acho que o sistema de vida em Portugal é mais civilizado do que aqui e mais organizado.


 VITO GERARDI